20 Settembre 2024

L'attacco al Libano e il fallito attentato a Trump

Il 16 settembre i volantini che invitavano i libanesi del Sud a sfollare, nei giorni successivi l'attacco informatico che ha fatto strage in Libano. Preparativi di un attacco, che per ora non c'è stato...
L'attacco al Libano e il fallito attentato a Trump
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Nel suo discorso di ieri Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, ha affermato che l’operazione dei cercapersone e dei walkie talkie killer di Israele contro il Libano riceverà una dura risposta, ma ha evitato di dichiarare guerra a Tel Aviv, ribandendo anzi che la fine del conflitto a Gaza chiuderebbe le ostilità anche sul fronte Nord.

Ma Netanyahu non sembra affatto desideroso di concludere un accordo con Hamas né di rinunciare alla sua guerra su larga scala contro Hezbollah, come denotano gli intensi bombardamenti di stanotte sul Libano.

La guerra e i volantini

Quanto all’operazione cercapersone, di interesse quanto annota al Mayadeen, che lo collega a uno strano incidente di percorso dell’esercito israeliano. Il 16 settembre, infatti, una sua unità ha lanciato via aerea dei volantini nel Sud del Libano invitando i residenti a sfollare. Un’iniziativa improvvida, tanto che, poche ore dopo, l’esercito ha comunicato che non era stata autorizzata.

Were the exploding pagers in Lebanon part of a larger Israeli blunder?

Il giorno successivo Israele ha fatto esplodere i cercapersone, quindi, il giorno dopo ancora è stata la volta dei walkie talkie (alcune fonti dicono che, insieme a questi ultimi, sarebbero esplosi anche altri apparecchi tecnologici come computer portatili e altro, ma sono particolari).

Si tratta di iniziative che preludevano evidentemente a un attacco via terra, che si sarebbe avvalso del caos generato da tali operazioni, che però non c’è stato. Secondo al Mayadeen si sarebbe trattato di errori nella catena di comando, ma sembra più probabile che qualcosa o qualcuno abbia frenato.

L’America non vuole questa guerra e, proprio il 16 settembre, aveva spedito in Israele il suo inviato per ribadirlo de visu a Netanyahu (Axios), con quest’ultimo a rispondere che, nonostante il dovuto rispetto, l’avvertimento non sarebbe stato preso in considerazione.

U.S. warns Netanyahu against starting a war in Lebanon

Secondo al Mayadeen anche il ministro della Difesa Yoav Gallant, nonostante le dichiarazioni muscolari, starebbe frenando, circostanza confermata da taluni media israeliani. Ed è probabile, anzi sicuro, che diversi alti ufficiali dell’esercito sostengano Gallant, dal momento che da isolato non potrebbe esternare la sua contrarietà.

Di imprevisti

Al di là degli interna corporis israeliani e della dialettica con gli Usa, resta che qualche imprevisto o qualcuno, o un combinato disposto dei due fattori, ha mandato all’aria i piani di Tel Aviv. Detto questo, non è che l’opzione sia stata riposta nel cassetto, che anzi è più incombente che mai, ma la variabile degli apparecchi tecnologici esplosivi sulla quale puntava tanto, sembra sia andata in fumo.

Certo, Israele potrebbe avere altre sorprese in serbo, ma è ovvio che dal 17 settembre tutti gli apparati tecnologici di cui si serve Hezbollah, sia per uso civile che militare, sono sotto esame. Difficile che Tel Aviv possa ripetersi, almeno sotto questo profilo. E senza effetto sorpresa Israele dovrà mettere in conto perdite notevoli se non insostenibili.

Per una bizzarra coincidenza, l’attacco via terra era stato pianificato per il giorno successivo alla morte di Trump, che avrebbe dovuto essere ucciso da Ryan Routh mentre giocava a golf il 15 settembre. Mentre nel mondo si propagava la notizia dell’assassinio del candidato repubblicano alla Casa Bianca, con certo shock dell’opinione pubblica globale, l’esercito israeliano avrebbe dovuto iniziare la sua guerra.

Netanyahu vs Trump

Sul nostro sito abbiamo sempre sostenuto che, al contrario di quanto si legge su quasi tutti i media, Netanyahu non è affatto un sostenitore di Trump, anzi. I suoi rapporti consolidati sono con i neocon, alcuni dei quali sono passati a sostenere Kamala Harris, mentre altri sono rimasti nel partito repubblicano.

Infatti, nonostante siano stati depotenziati dall’onda anomala generata da Trump, i repubblicani citati, che hanno nel bombardiere Lindsey Graham il loro garrulo portavoce, sono rimasti nel partito repubblicano nella speranza, non infondata, di tornare a prendere nelle loro mani il timone del partito come ai bei tempi di George W. Bush.

Ed è proprio con questi che Netanyahu ha rapporti più stretti, dal momento che potrebbero permettergli di realizzare il suo più grande sogno, una guerra in grande stile con l’Iran, passo successivo alla guerra contro Hezbollah; sogno che essi condividono a differenza dei democratici che fanno riferimento a Obama e Sanders, che avversano tale prospettiva (Biden, sul punto, sta con loro).

Inutile aggiungere che se Trump fosse eliminato i neocon tornerebbero a prendere in mano le redini del partito repubblicano, dal momento che nessuno avrebbe la forza di fermarli. E, potendo ostentare all’opinione pubblica statunitense il martirio di tycoon, vincerebbero a mani basse le elezioni.

Di volantini e apparecchi di comunicazione killer

Non stiamo affatto affermando che Ryan Routh si sia mosso su input di Netanyahu, solo che se il killer solitario, novello Oswald, fosse riuscito nel suo intento avrebbe, inconsapevolmente, favorito certe prospettive.

Detto questo, Netanyahu ha tante carte vincenti nel suo mazzo, dal momento che la diafana Harris è in mano ai liberal interventisti che fanno riferimento al clan Clinton, che condivide con i neocon tante suggestioni e prospettive pur all’interno di una dialettica feroce, dal momento che il loro nume tutelare è George Soros e l’ambito che rappresenta, che di Netanyahu è acerrimo nemico (uno dei punti di riferimento in Israele di tale ambito è Ehud Barak, altro acerrimo nemico dell’attuale premier).

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Al di là delle possibili, eventuali, connessioni di Routh, sulle quali è inutile indugiare, e tornando al conflitto libanese, rispetto al quale restiamo alla sola cronologia, viene da chiedersi se l’incidente dei volantini che invitavano i libanesi del Sud a evacuare sia dovuto a un ordine dato e non ritirato per una defaillance della catena di comando.

E se gli apparecchi di comunicazione fatti esplodere successivamente sia stato un passo deciso perché, sfumato ormai l’attacco a sorpresa, Israele aveva il timore che l’operazione fosse stata subodorata da qualche intelligence straniera (un’agenzia Usa avversa alla guerra contro Hezbollah? La Russia?) ed era in procinto di avvertire Hezbollah.