Il cyberattacco in Libano e l'attacco Nato alla Russia
Nelle stesse ore in cui Israele metteva a segno il secondo cyberattacco esplosivo in Libano, con un bilancio provvisorio di 500 feriti e 25 morti, la Nato (ufficialmente gli ucraini) faceva saltare in aria un grande deposito di munizioni russo a Tver, a soli cento chilometri da Mosca, in uno degli attacchi più spettacolari messi a segno da Kiev dall’inizio della guerra (hollywoodiano come il cyberattacco ai danni del Libano). Operazione significativa anche perché segnala come il niet di Biden all’Ucraina all’utilizzo dei missili a lungo raggio sia superabile.
L’incendio divampa
La linea di faglia tra Oriente e Occidente, lungo la quale divampano gli incendi mediorientale e ucraino, ha registrato una giornata di picco, rilanciando l’opzione della guerra globale oggi ribadita dall’approvazione dell’europarlamento di una mozione che consiglia ai Paesi membri di revocare le restrizioni all’uso dei missili a lungo raggio contro la Russia e il contemporaneo disvelamento, da parte degli Stati Uniti, dei piani per ingaggiare una guerra con la Cina entro il 2027.
Il voto del parlamento europeo, che denota come la Politica sia sempre più distaccata dalla realtà, e le rivelazioni sulla Cina ribadiscono in quale prospettiva si stanno muovendo le élite occidentali consegnate al Credo neocon (repubblicani Usa) e del liberalismo interventista (democratici Usa), che hanno messo in cantiere un conflitto limitato della sola Europa contro la Russia mentre gli Stati Uniti affrontano la Cina.
Inutile aggiungere che si tratta di un pio desiderio, dal momento che Mosca ha già ammonito Washington che, se attaccata, reagirà anche contro gli Usa che guidano questa danza macabra.
Com’è inutile aggiungere che una guerra globale può trovare il suo innesco dall’incendio mediorientale, dal momento che una guerra contro l’Iran (tale la meta alla quale si propongono di arrivare per passi graduali i falchi israelo-americani) può diventare l’epicentro di un maelstrom che inghiotte il mondo.
Una strategia infausta deve essere dipanata in maniera soft, dal momento che non si può brandire apertamente la guerra mondiale, a parte qualche voce dal sen fuggita, perché ciò allarmerebbe i cittadini dell’Occidente, suscitando reazioni.
Così anche gli ultimi avvertimenti di Putin sulla inevitabile reazione russa ai missili che potrebbero piovere sul territorio russo è stata derubricata a boutade, prima da Biden e poi dal Capo della Nato Jens Stoltenberg (il primo per smussare le reazioni al suo niet all’uso dei missili a lungo raggio, il secondo perché sacerdote della religione neocon).
Ma oggi l’area più surriscaldata è il Medio oriente, con il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant che ha dichiarato che il suo Paese è entrato in una “nuova fase della guerra” e Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, che ha affermato come il cyberattacco di Israele abbia “superato tutte le linee rosse”, l’equivalente di “una dichiarazione di guerra”.
Quanto al cyberattacco, in altra nota abbiamo riportato quanto rivelato dai media, cioè che avrebbe dovuto scattare in parallelo con l’attacco di terra, che si sarebbe giovato del caos generato tra le fila del nemico, ma è stato lanciato prematuramente perché Hezbollah aveva subodorato qualcosa e stava indagando.
In realtà, anche un minimo allarme, in una situazione di guerra, avrebbe dovuto giungere subito ai dirigenti di Hezbollah, i quali avrebbero ordinato a tutti di evitare gli apparecchi, da cui la possibilità, ventilata a Yossi Melman su Haaretz, che tale narrazione sia un depistaggio volto a coprire l’indicibile, cioè che Netanyahu lo avrebbe anticipato perché gli serviva un successo immediato per tranquillizzare la piazza e guadagnare consensi.
Mentre convince l’ipotesi del depistaggio, non siamo del tutto convinti sul motivo dell’anticipazione. Non perché Netanyahu non ne sia capace, quanto perché in quel momento non aveva necessità di guadagnare ulteriori consensi, dal momento che il suo potere è stabile.
In attesa di chiarimenti, ci limitiamo a registrare che l’attacco è stato portato nella ricorrenza della strage di Sabra e Shatila (16-18 settembre 1982), quando le milizie maronite libanesi, coordinate e protette dall’esercito israeliano, uccisero circa cinquemila palestinesi stipati nei due campi profughi del Libano meridionale. Certe ricorrenze hanno un grande valore simbolico e il simbolo è tutto in certe derive religiose.
Il terrorismo di Israele
Ma al di là della coincidenza, resta l’azione terroristica, denunciata da un editoriale del Guardian che ricorda come Israele abbia firmato un trattato internazionale che “proibisce in ogni circostanza l’uso di apparecchi esplosivi o altri dispositivi sotto forma di oggetti portatili apparentemente innocui”.
“[…] Gli attacchi di questa settimana – prosegue il Guardian – non sono stati, come hanno affermato i difensori di Israele, ‘chirurgici o ‘un’operazione antiterrorismo mirata con precisione'[…] le bombe nei cercapersone erano chiaramente destinate a colpire singoli civili, diplomatici e politici, che non stavano partecipando direttamente alle ostilità. L’operazione sembra aver prodotto ciò che gli avvocati potrebbero definire ‘danni civili accidentali eccessivi'”.
“[…] Tali attacchi sproporzionati, che appaiono illegali, non solo sono senza precedenti, ma potrebbero anche diventare normali. Se così fosse, si aprirebbe la porta ad altri stati per mettere alla prova in via definitiva le leggi di guerra. Gli Stati Uniti dovrebbero intervenire per frenare il loro amico, ma Joe Biden non mostra alcun segno di voler intervenire per fermare lo spargimento di sangue. La strada per la pace passa per Gaza, ma il piano per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi di Biden” è in stallo.
Netanyahu sta cercando di innescare una guerra regionale per continuare a guidare il Paese, prosegue il media britannico, ma è pur vero che “niente di tutto ciò è possibile senza la complicità e l’assistenza degli Stati Uniti. Forse solo dopo le elezioni presidenziali gli Stati Uniti saranno in grado di dire che il prezzo per salvare la pelle di Netanyahu non dovrebbe essere pagato sulle strade del Libano o dai palestinesi dei territori occupati. Fino ad allora, l’ordine internazionale basato sulle regole continuerà a essere minato dagli stessi Paesi che hanno creato tale sistema”.
Quanto alla complicità degli Stati Uniti, interessante quanto scrive Caitlin Johnstone: “Gli USA affermano di non aver saputo nulla dell’attacco, ma fanno sempre così. Ci viene chiesto di credere che gli USA non abbiano mai saputo nulla degli attacchi realizzati da nazioni come Israele e Ucraina finché non ne hanno letto sui giornali e che il loro enorme apparato di intelligence e le loro reti di sorveglianza tentacolari non raccolgono mai alcuna informazione ed esistano senza alcun motivo”.
La Johnstone aggiunge come il cyberattacco abbia trasformato tanti ignari cittadini libanesi in kamikaze, con i loro apparecchi che esplodevano tra la folla, nei mercati, nella tasca di un uomo alla guida di un auto, che quindi andava fuori controllo investendo persone, e magari dietro aveva un passeggino. Attacchi terroristici che, se avessero avuto luogo in Israele o altrove sarebbero stati definiti come tali.
“Ma dal momento che erano gli israeliani a prendere di mira Hezbollah (un partito politico che fa parte del governo libanese e annovera molti civili tra le sue fila), sono stati riportati [dai media] solo come ‘esplosioni'”. Usa così.