25 Marzo 2024

L'attentato al Crocus. La fredda reazione di Putin

La differente reazione rispetto al 11 settembre o al 7 ottobre. Le minacce della Nuland a Russia e Niger.
L'attentato al Crocus. La fredda reazione di Putin
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L’attentato al Crocus City Hall del 22 marzo va analizzato sotto diversi profili. Il primo riguarda la forza di Putin. Sul punto è indicativo un articolo del Washington Post dal titolo: “L’attacco terroristico in Russia mette in luce le vulnerabilità del regime di Putin”. Lo zar, che aveva consolidato il suo potere nelle ultime elezioni, ha infatti ricevuto un vulnus. Ma al momento non sembra che la sua posizione ne sia uscita minata.

Terrorist attack in Russia exposes vulnerabilities of Putin’s regime

La meditata reazione di Putin

L’altro livello di lettura riguarda la reazione di Mosca. L’attacco avrebbe potuto innescare una reazione simile a quella dell’America dopo l’11 settembre o di Israele dopo il 7 ottobre.

L’Ucraina ne sarebbe uscita devastata come l’Iraq o Gaza, distruggendo irreparabilmente l’immagine internazionale di Mosca, che nonostante tutto ha certo credito nel mondo. Peraltro, la tesi di un attentato auto-inflitto a tale scopo, alimentata da Kiev, avrebbe preso corpo. Non è andata così.

L’altro livello è quello delle criticità che l’attentato avrebbe potuto porre all’interno della società civile russa. Ria Novosti informa che, dopo l’attacco, lo spazio virtuale russo è stato inondato da uno sciame di input che incitavano all’odio contro l’islam e a compiere ritorsioni contro i suoi fedeli. Una dinamica che riecheggia l’islamofobia scatenata in Occidente, modulata e declinata in vari modi, a causa degli attentati di matrice islamista.

Запад снова просчитался и недооценил Россию

Lo scatenarsi di un radicalismo di destra anti-islamico – si ricordi, en passant, che tale onda al tempo fu cavalcata anche da Navalny  –  e le proteste degli islamici contro un governo centrale incapace di difenderli avrebbe dato vita a un combinato disposto in grado di destabilizzare l’impero russo. Ma lo sciame virtuale non ha attecchito, annota il media russo, da cui lo scampato pericolo.

Resta però significativo che Putin, nel suo discorso post attentato, abbia accennato a tale pericolo, affermando: “Nessuna forza sarà in grado di seminare i semi velenosi della discordia, del panico o della disunità nella nostra società multietnica”.

Eludendo di cadere nella trappola della minaccia islamista, Putin ha invece parlato dell’attacco in tutt’altri termini, cioè di una efferatezza che riecheggia quella perpetrata dai “nazisti che un tempo commisero massacri nei territori occupati“.

Nel suo discorso lo zar non ha mai parlato di Isis, nonostante il messaggino di rivendicazione attribuito alla nota Agenzia. Così lo zar: “I terroristi, gli assassini, quegli individui disumani che non hanno nazionalità e non possono averne una, si trovano di fronte alla stessa triste prospettiva: punizione e oblio. Non hanno futuro”.

Sono parole che normalmente la Russia usa nell’ambito della diatriba verbale con l’Occidente, al quale rimprovera la pretesa di voler perpetuare il suo dominio sul mondo attraverso la globalizzazione, della quale vorrebbe conservare il ruolo di dominus (il mondo basato sulle regole etc). Una prospettiva che, secondo Mosca, non ha futuro.

Allo stesso tempo ha evitato di accusare frontalmente l’Ucraina, limitandosi a riferire gli esiti delle indagini, cioè che gli agenti del terrore sono stati arrestati mentre si apprestavano ad attraversare la frontiera con l’Ucraina, nella quale era stata approntata “una finestra” per l’esfiltrazione. Va ribadito che, nonostante l’accenno, non ha lanciato accuse dirette contro Kiev, perché sarebbe stato costretto a una reazione alzo zero, mentre evidentemente si riserva un’azione modulata.

Gli avvertimenti neocon e l’attentato in Niger

Fin qui l’attentato e il discorso dello zar che, prima di concludere, ha chiesto la cooperazione contro il Terrore a “tutti gli Stati che condividono sinceramente il nostro dolore e sono pronti a unire realmente le forze nella lotta contro un nemico comune”, dove la parola chiave è quel “sinceramente”.

Perché il mostro che il 22 marzo ha colpito Mosca e domani potrebbe colpire altrove, dovrebbe essere contrastato attraverso un coordinamento internazionale. Così non è, purtroppo. E non aiutano quegli ambiti occidentali che fanno dell’antagonismo tra potenze, pur inevitabile, una questione esistenziale.

Ne è esemplare il “feroce” attivismo della paladina neocon Victoria Nuland (ferocia sottolineata dal Dipartimento di Stato Usa nel comunicato in cui informava delle sue dimissioni forzate).  Un attivismo che l’ha portata un mese fa a dichiarare che, grazie all’ausilio statunitense, l’Ucraina avrebbe rilanciato la sua sfida a Mosca attraverso una “guerra asimmetrica” che avrebbe riservato “brutte sorprese” a Putin.

Purtroppo, è proprio l’ultradestra neocon, che opera in coordinato disposto con l’internazionalismo liberale progressista (vedi James Carden, Antiwar), a influenzare in maniera decisiva la politica estera americana, e di conseguenza l’Occidente intero.

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Una politica aggressiva che non tiene in nessun conto dei legittimi interessi altrui, come denota anche la resistenza Usa a ritirare le sue truppe dall’Iraq e dal Niger, nonostante sia stato loro richiesto da tali Paesi.

Il nostro non è un cenno casuale, perché l’aggressività della Nuland ha infierito anche in Niger, nel quale l’allora Vice del Dipartimento di Stato si precipitò subito dopo il golpe del luglio scorso – che ha posto fine al governo fantoccio dell’Occidente – per minacciare i nuovi dirigenti del Paese a evitare di minare la legittimità delle basi americane ivi installate e deprecare i loro rapporti con Mosca.

Nonostante le minacce, il governo nigerino, dopo vari tentennamenti, la scorsa settimana ha chiesto il ritiro delle basi in questione perché, tra le altre cose, non assolvevano il compito di contrastare il Terrore, cioè la loro missione precipua.

Probabile che abbia ragione il governo di Niamey, dal momento che sabato, lo stesso giorno dell’attentato a Mosca, l’Isis ha rivendicato un attacco contro le forze nigerine che ha lasciato sul campo decine di vittime.

Attentato a Mosca, ricorsi e stranezze

A margine, annotiamo due stranezze sull’attentato a Mosca del 22 marzo. Gli attentatori dell’Isis usualmente hanno una vocazione suicida, questi sono scappati. Inoltre, hanno confessato di esser stati pagati, mentre normalmente si tratta di individui radicalizzati. Se vero che la paura può far dir di tutto, è vero anche che non c’era alcun bisogno di tacere il loro radicalismo, anzi.

Per quanto riguarda la scelta dell’obiettivo, colpire un teatro di Mosca aveva un alto significato simbolico. perché riecheggiava l’attacco al teatro Dubrovka del 2002, sempre nella capitale russa, che fu il momento nel quale, unica volta nella sua lunga storia presidenziale, il trono di Putin vacillò.

La cattura degli ostaggi nel teatro, infatti, lo stava indebolendo ogni giorno di più, rischiando di porre fine alla sua carriera politica (un po’ come avvenne, mutatis mutandis, per Jimmy Carter con la cattura degli ostaggi all’ambasciata iraniana). Da cui il raid nel teatro che, per la fretta di agire, fu un mezzo insuccesso, avendo causato la morte di alcuni ostaggi.

Non per nulla Tenet, il film di Nolan del 2020, nel quale si narra come il crollo dell’Urss sia stato il momentum più pericoloso della storia del mondo, inizia con l’attacco al Dubrovka, sottolineando così l’importanza cruciale di quella crisi che rinnovava quel momentum (vedi foto di apertura).