14 Agosto 2024

In attesa della risposta dell'Iran, nuovi orrori da Gaza

L'Iran potrebbe non reagire all'assassinio di Haniyeh in caso di un accordo su Gaza. Intanto, nella Striscia, i palestinesi sono usati come scudi umani
In attesa della risposta dell'Iran, nuovi orrori da Gaza
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Mentre si susseguono gli allarmi sulla risposta iraniana all’assassinio di Ismail Haniyeh, che potrebbe scatenare una guerra regionale, e mentre Teheran ribadisce che deve reagire, si registrano segnali in controtendenza.

In particolare, appare di interesse quanto dichiarato da Aliasghar Shafieian, consigliere per i media del neopresidente Masoud Pezeshkian, secondo il quale il suo Paese darà una risposta “matura”, aggiungendo che, come l’assassinio di Haniyeh è stata un’operazione di intelligence, così sarà la risposta. Lo riferisce il Washington Post, ripreso dall’Adnkronos, che quindi conclude che la risposta sarà limitata.

Una conclusione esplicitata dallo stesso Shafieian in una dichiarazione resa a un media iracheno, e ripresa da Sputnik, al quale ha spiegato che la riposta sarà diversa da quella di aprile, quando Teheran lanciò missili e droni contro il territorio israeliano, presumibilmente di intelligence come quella che causato la morte di Haniyeh.

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Parole che denotano che c’è una trattativa in corso. Come annota anche The Cradle riferendo quanto dichiarato dalla delegazione di Teheran all’Onu, cioè che la ritorsione iraniana “sarà programmata e condotta in modo da non compromettere il potenziale cessate il fuoco” a Gaza.

Ancora più interessante il seguito del comunicato: “Tra l’Iran e gli Stati Uniti sono sempre esistiti canali ufficiali diretti e intermedi per scambiare messaggi, i cui dettagli entrambe le parti preferiscono non rivelare”.

Una trattativa ad ampio spettro, come denota il tam tam secondo il quale l’Iran ritarderebbe la risposta (e forse la eviterebbe del tutto) se si raggiungesse un accordo su Gaza.

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L’apertura dell’Iran al negoziato e la corrispondenza con gli Usa si evidenzia anche da altri particolari. Anzitutto dalle dichiarazioni possibiliste del nuovo presidente di rilanciare il negoziato sul nucleare iraniano, stracciato sotto l’amministrazione Trump a causa della pressione di Netanyahu e dei neoconservatori.

Sul punto, molti hanno dato la giusta importanza alle dimissioni di Javad Zarif da Consigliere strategico del nuovo presidente, prima nomina fatta da quest’ultimo e per questo importante, lamentando l’allontanamento dal governo di una figura rispettata dalle Cancellerie occidentali per le sue posizioni moderate nonché nume tutelare della delegazione iraniana che concordò con Washington l’accordo sul nucleare.

Tali dimissioni, oltre a segnalare che la svolta riformista del nuovo presidente sarebbe già sfumata,  indicherebbero che non c’è spazio per una ripresa dei negoziati con gli Stati Uniti.

In realtà, il nuovo ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, oltre che essere un moderato è stato “vice di Zarif durante la presidenza di Hassan Rouhani, svolgendo un ruolo chiave nei negoziati sul nucleare con l’Occidente” (Iranintl.com). Insomma, la prospettiva tracciata da Pezeshkian non è affatto morta.

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Tale prospettiva, peraltro, induce il nuovo presidente a frenare sulla reazione all’assassinio di Haniyeh, dal momento che l’innalzamento del livello dello scontro regionale la incenerirebbe.

Ma molto è sospeso al nuovo round di negoziati su Gaza tra Egitto e Qatar da una parte (in rappresentanza di Hamas e dei Paesi arabi) e gli Stati Uniti dall’altra (in rappresentanza di Israele). Difficile coltivare speranze, che pure restano d’obbligo.

Hamas ha dichiarato che non invierà propri rappresentanti ai colloqui, ma non per una chiusura al negoziato, quanto perché, avendo accolto la proposta precedente avanzata da Stati Uniti e Israele, non vede la necessità di nuove trattative e chiede l’attuazione di quanto da essa già accettato.

Il problema è che la proposta di tregua israeliana accolta da Hamas è stata poi modificata da Netanyahu, il quale ha aggiunto cinque nuove richieste, come rileva il New York Times, che ribadisce come all’interno dell’establishment israeliano si ritenga che il premier stia sabotando il negoziato.

Se non ci sarà accordo, a Teheran non resterà che colpire in qualche modo Israele, con tutte le incognite del caso.

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I gazawi usati come scudi umani

Intanto, nuovi orrori dalla fucina di Gaza, con Haaretz – vedi foto di copertina – che ha confermato quanto denunciato due mesi fa da al Jazeera (ripreso al tempo da Piccolenote), cioè che l’esercito israeliano usa inviare in avanscoperta nei luoghi pericolosi i civili di Gaza, ammanettati e vestiti come soldati dell’IDF, così da attirare su di essi il fuoco dei miliziani di Hamas o per farli saltare in aria al loro posto nel caso vi siano stati piazzati ordigni esplosivi.

Ma se il documento di al Jazeera, benché inoppugnabile (dal momento che pubblicava filmati), non era riuscito a dare una misura del fenomeno, Haaretz lo fa, spiegando che è una pratica largamente diffusa e di cui gli alti gradi dell’esercito sono consapevoli.

Insomma, non una follia isolata di qualche ufficiale sanguinario, ma un modus operandi dell’IDF. Peraltro, come evidenzia il dossier di Haaretz, i malcapitati non sono presi tra le fila dei miliziani di Hamas. Per essere “scelto” come scudo umano basta essere un abitante di Gaza, come il ragazzo di 16 anni con cui si chiude l’articolo.

Sul punto è sufficiente riportare un brano del dossier, esemplare quanto agghiacciante: “Circa cinque mesi fa, ci hanno portato due palestinesi. Uno aveva 20 anni e l’altro 16. Ci hanno detto: ‘Usateli, sono di Gaza, usateli come scudi umani'”.

Nel dossier, anche le proteste di alcuni soldati, ovviamente represse dai superiori. Proteste che, però, appaiono anomalie rispetto all’accettazione diffusa, eccezioni che confermano la regola, dal momento che se il rigetto fosse stato più ampio difficilmente la pratica avrebbe preso tanto piede. Tutto ciò fa il paio con il dilagare del disagio mentale in Israele: l’ERAN (Emotional First Aid by Telephone & Internet) israeliano ha segnalato che le richieste di assistenza dal 7 ottobre in poi sono aumentate del 950% (Jerusalem Post). La follia dilaga in Israele, e produce mostri.

Nonostante tutto ciò, gli Usa continuano a rifornire di armi a Tel Aviv: approvata ieri la spedizione di armamenti per altri 20 miliardi di dollari.