23 Settembre 2014

Boko Haram, l’esercito dell’orrore

di Fabrizio Fava
Boko Haram, l’esercito dell’orrore
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Meno mediatico dell’Isis, ma non meno cruento, Boko Haram è, alla pari del Califfato dell’Isis, un esercito dell’orrore fatto di tagliagole. Numeri alla mano, le vittime dei terroristi che mirano a controllare la Nigeria – di cui hanno già conquistato la regione Nord-Orientale, ovvero gli stati di Yobe, Borno e parte di Adamawa – sono comparabili, se non maggiori, alle già tantissime vite che gli jihadisti hanno spezzato tra Iraq e Siria: si stima che i ribelli nigeriani, dal luglio 2009 al giugno 2014, abbiano ucciso quasi 6mila persone. Se a settembre 2013 Al Jazeera parlava di circa 3600 deceduti, nel primo semestre di questo anno, secondo Human Rights Watch «l’insurrezione islamista ha ucciso almeno 2.053 civili in occasione di 95 attacchi». Ma il bilancio dei morti, che continua ad aggiornarsi – visto che la furia degli estremisti non si è placata per tutta l’estate – è incerto e potrebbe essere ancor maggiore.
Boko Haram, letteralmente “l’educazione occidentale è peccato”, è un’organizzazione terroristica jihadista vicina ad al-Qaeda nata nella città di Maiduguri e particolarmente attiva nel Nord-Est della Nigeria, ma presente anche in Camerun, Ciad e Niger. Fondato da Ustaz Mohammed Yusuf agli albori di questo Millennio, il Gruppo della Gente della Sunna per la propaganda religiosa e la Jihad ebbe un ruolo di primo piano nei disordini nigeriani del luglio 2009, quando esplose la rabbia della setta islamica fondamentalista contro le forze di sicurezza dello Stato federale: il movimento voleva ribaltare il governo e imporre una rigorosa osservanza della legge islamica. Il bilancio dei tre giorni di scontro fu drammatico: più di mille persone persero la vita. Lo stesso leader della setta, Yusuf, arrestato dalla polizia, fu ucciso poco dopo dagli stessi agenti mentre tentava la fuga. O per lo meno questa è la versione ufficiale data dall’ispettore Moses Anegbode e riportata, all’epoca dei fatti, dalla Bbc.
Nel mirino di Boko Haram, oltre all’educazione occidentale, ci sono i cristiani. Gli integralisti non accettano altri credo se non quello del fanatismo e i cristiani, così come le altre minoranze religiose (vale anche per i musulmani moderati), non hanno diritto di cittadinanza: se va bene la conversione (che comunque non tutela dall’esilio e dalle violenze), se va male la morte. In un’intervista a Thisday il vescovo della diocesi di Maiduguri (che comprende le parrocchie di Borno, Yobe e Adamawa, le zone in mano ai rivoltosi) ha detto che sono oltre 2500 i cristiani uccisi da questi tagliagole. Oliver Dashe Doeme, attualmente rifugiato nella parrocchia Santa Teresa di Yola insieme a migliaia di fedeli, riferisce il dramma in corso: in tantissimi sono fuggiti per scampare alla furia fanatica dei terroristi non senza perdersi per strada figli e genitori. È allarme rosso sfollati e, scrive sempre Thisday, «la Chiesa cattolica ha detto che la situazione umanitaria nella regione del Nord-est è catastrofica».
Anni di guerriglia, razzie, rapimenti, violenze, stupri e attacchi ai luoghi sacri non hanno suscitato grande presa sui mass media internazionali nonostante il numero di civili uccisi tristemente collezionato. D’altronde la Nigeria e i Paesi limitrofi non sono il Medio Oriente e gli interessi politici ed economici dell’Occidente sono minori.
Boko Haram inizia a far rimbombare il suo nome nella cassa di risonanza dei media mondiale il 16 febbraio con il massacro del villaggio Izche: più di 100 i cristiani trucidati. Repubblica scrisse che i miliziani «hanno costretto gli uomini a radunarsi in un’area del villaggio e li hanno massacrati a colpi d’arma da fuoco e con coltelli e machete, al grido di “Allah è grande”». Un orrore seguito il 14 aprile con la bomba alla stazione degli autobus di Abuja (capitale della Nigeria) e il 5 maggio con l’attacco a Gamburu, per un totale di oltre 400 morti. Ma si tratta purtroppo dei punti più tragici di un elenco che conta decine di attentati e migliaia di vittime innocenti. In tutto questo, il 24 agosto, sulle orme dell’Isis, il leader integralista Abubakar Shekau proclama la nascita di un Califfato Islamico nella città di Gwoza, vicino al confine camerunense.
L’apice dimostrativo della setta lo si tocca forse il 14 aprile scorso con il rapimento di 276 studentesse cristiane. Le giovani, scrive la Cnn, sono state prelevate nella notte dalle loro stanze della scuola secondaria di Chibok, a 130 km a Ovest di Maiduguri, e caricate a forza da uomini armati su camion, furgoni e autobus. Qualche giorno più tardi, in 57 minuti di filmato, l’organizzazione rivendica il rapimento delle giovani, minacciando di venderle come schiave. Alcune, per la precisione 63 informa la Cnn, sono riuscite a fuggire, mentre altre pare siano state effettivamente vendute in Camerun e Ciad per appena 12 dollari, tanto vale una vita per i guerriglieri di Boko Haram. Ad oggi rimangono ancora 200 e passa le ragazze in mano ai rapitori. Pare, però, esserci una svolta: sempre la Cnn riporta che «rappresentanti del governo nigeriano e della Croce Rossa Internazionale hanno avviato negoziati con Boko Haram per uno scambio di prigionieri». Nella trattativa, che si sta svolgendo ad Abuja, rientra il rilascio di trenta comandanti del gruppo terroristico e la fonte della Cnn racconta che «i due negoziatori di Boko Haram hanno assicurato che le ragazze non sono state violentate».
Tornando alla testimonianza di Oliver Dashe Dome, l’Agenzia Fides riporta un passaggio dell’intervento del presule nel corso della riunione della Conferenza Episcopale a Warri, nel Delta del Niger. Il vescovo di Maiduguri ha voluto porre all’attenzione «l’armamento sofisticato del quale si è dotato il gruppo islamista negli ultimi mesi (mezzi blindati, armi anticarro e antiaeree, munizioni in quantità)». E qui la domanda nasce da sola: chi finanzia Boko Haram? Da chi si armano i terroristi? Al-Qaeda è la risposta. Nonostante il legame non sia, per così dire, ufficiale, i rapporti tra le due organizzazioni ci sono eccome e sono stati sollevati dallo stesso presidente della Nigeria, Jonathan Goodluck. Ecco cosa scrive in merito Al-Jazeera: «Ayman al-Zawahiri non ha mai fatto pubblicamente riferimento a Boko Haram, ma i loro legami con al-Qaeda ed i suoi affiliati sono ormai così numerosi che sono impossibili da ignorare. Nel 2002, Osama bin Laden inviò uno dei suoi collaboratori in Nigeria per distribuire 3 milioni di dollari ai gruppi salafiti. Si pensa che il fondatore di Boko Haram, Mohammed Yusuf, sia stato un destinatario di questo denaro». E, ancora, non mancano i rapporti con altre cellule terroristiche operanti in Africa Occidentale e affiliate di al-Qaeda come Aqim, il Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento attivo nel Maghreb, al-Shabaab, Ansar al-Din e MUJAO (Movimento per l’Unicità e il Jihad nell’Africa Occidentale). Ma nonostante questo l’attenzione e la preoccupazione dell’Occidente non è mai stata tanta. Basti pensare che solo nel novembre 2013 gli Stati Uniti hanno iscritto il nome del movimento nell’albo dei gruppi terroristici.

 

Tre giorni fa, a ridosso del confine camerunense, pare sia stato ucciso Shekau, il leader del Boko Haram. Ma non c’è alcuna sicurezza, dal momento che annunci simili in passato sono stati puntualmente smentiti; né, fosse anche vero, cambierebbe qualcosa: morto un Shekau se ne trova un altro, tali sono le dinamiche che vigono dentro Al Qaeda. E tale è Boko Haram: mostro a più teste, una sorta di Idra che le forze nigeriane non riescono ad arginare, eppure per la comunità internazionale resta un problema locale. Ma il mondo, oltre all’Isis, farebbe bene a non far finta di non vedere – come troppo spesso succede per l’Africa – la minaccia jihadista nigeriana e le tante, troppe vittime innocenti.

 

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