Le bombe israeliane sui negoziati con Hamas
“Novanta persone sono state uccise e 300 ferite in un attacco israeliano all’area di al-Mawasi, a Khan Younis, un’asserita ‘zona sicura’ […]. Almeno otto scuole delle Nazioni Unite sono state colpite dall’esercito israeliano negli ultimi 10 giorni”.
“Gli attacchi israeliani a Gaza si sono intensificati di recente nonostante tra Doha e il Cairo siano in corso i colloqui per raggiungere un cessate il fuoco. I report riferivano che, prima degli attacchi di sabato, nei colloqui si stavano registrando progressi”.
“[…] Israele ha sempre aumentato l’intensità degli attacchi contro i propri nemici quando stava finalizzando negoziati per un cessate il fuoco”, ha affermato Tariq Kenney-Shawa, policy fellow di al Shabaka, una rete politica palestinese. “Lo reputano un mezzo per aumentare la pressione sulla parte avversa, in questo caso Hamas, perché acconsenta alle loro richieste e faccia ulteriori concessioni”.
La guerra senza fine di Netanyahu e l’opposizione di Gallant
Fin qui un articolo di Justin Salhani su al Jazeera, che dice una parte della verità. La parte omessa è che Netanyahu e i suoi sodali dell’estrema destra non vogliono che la guerra finisca: il primo perché la pace lo priverebbe del potere, i secondi perché vogliono realizzare la Grande Israele annettendo Gaza e la Cisgiordania.
A puntare l’indice contro il premier israeliano è stato addirittura il capo del Mossad David Barnea, il quale ha affermato che “l’insistenza di Netanyahu sulla creazione di un meccanismo per monitorare gli spostamenti dei cittadini di Gaza da Sud a Nord” rischia di “ostacolare” le trattative (Haaretz).
Se a sabotare sono le forze succitate, con Hamas che ha dimostrato invece “flessibilità” (ma non può capitolare su tutto), a guidare le forze che spingono per un accordo è il ministro della Difesa Yoav Gallant, ormai in aperta opposizione a Netanyahu come indica un titolo di Haaretz: “Un”escalation misurata’: la frattura tra Netanyahu e Gallant raggiunge il culmine durante i colloqui sugli ostaggi”. Dove escalation misurata, spiega la cronista Ravit Hecht, nel gergo militare è uno schema che vede “un aumento della portata e dell’intensità degli attacchi reciproci”.
Finora Gallant ha avuto il sostegno dei vertici dell’esercito, dell’intelligence e dei partiti di centro-sinistra, ma ultimamente sono usciti allo scoperto anche alcuni membri del Likud – il partito di Netanyahu e Gallant – in particolare il ministro della Scienza e della Tecnologia Gila Gamliel e il ministro dei Trasporti Miri Regev, ma soprattutto, a sorpresa, il partito di ultradestra Shas, anch’esso al governo (Haaretz).
Ma le stragi di questi ultimi giorni hanno complicato davvero tutto e non si intravede la fine del mattatoio Gaza. Sui recenti eccidi il caustico commento di B. Michael su Haaretz: “Dopo che circa 100 palestinesi hanno offerto i loro corpi per incollare meglio il fondoschiena di Bibi [Netanyahu] alla sua poltrona di pelle di daino, possiamo iniziare a dire la verità: Israele da un po’ di tempo non è più uno Stato. È una base militare. Nient’altro che una base militare”.
Una base dove i cittadini sono considerati alla stregua di “erbacce selvatiche. Quelle che è lecito calpestare, sputare, riscuotere le tasse necessarie a finanziare le trappole del potere. In cambio, le erbacce selvatiche valgono zero. Di tanto in tanto viene loro concesso di morire in guerra o di essere prese in ostaggio, che è in realtà la stessa cosa, per poi essere esaltate fino alle stelle. Dopotutto, prima o poi il governo avrà di nuovo bisogno di creduloni che muoiano per lui, così da rinnovare la sua guerra santa”.
“Nessuno sta dicendo loro la triste verità: la guerra non è un mezzo per raggiungere un fine. La guerra stessa è il fine. Perché? Perché è molto più facile controllare un paese in guerra. Allora, tutto è sacro. Proibito. Segreto. ‘Non ora’. ‘Solo quando sarà finita’. E non finirà mai. La guerra è la nostra vita. Non possiamo vivere senza di essa”.
“Con l’aiuto di Dio, abbevereremo sempre di sangue la nostra spada, nutriremo sempre la nostra spada e venderemo sempre una spada a chiunque ne voglia una. Infatti, fin dal primo giorno, Israele è in uno stato di guerra prolungata e continua. Perché? Perché è così che ci piace. Perché se ci togliessero la guerra, in un istante andremmo totalmente a pezzi. Quindi, c’è un solo nome appropriato per questa guerra lunga 80 anni: “Pace per la guerra” [gioco di parole che inverte il concetto di guerra per arrivare a una pace ndr].
“Soprattutto, ci piace combattere il popolo palestinese. Non solo con bombe e cannoni, anche con gli insediamenti. E la discriminazione. E l’espropriazione. E con il semplice piacere di molestarli. Perché? Perché vive lì. Perché ci sembra più facile. Perché è ciò che Dio ha detto a quanti parlano con lui regolarmente. E chi vuole discutere con Dio?”
“Otto bombe per uccidere un un uomo…”
E conclude: “Otto bombe da una tonnellata per uccidere un uomo. Per divertimento. Per vendetta. Così tutti sanno che è lecito uccidere 100 innocenti per assassinare un uomo. Non serve a niente, ma fa bene al morale, appianerà qualche ferita del nostro ego, rallegrerà la nazione e salverà Bibi”.
“Gli attacchi erano precisi, ovviamente. Chiedetelo a tutti i giornalisti embedded. Chirurgici, persino. Bravi. Se i Pronto soccorso usassero una chirurgia così precisa la popolazione di Israele verrebbe dimezzata in un batter d’occhio”.
“[…] Non sarà facile uscire dal buco in cui siamo precipitati, forse è già impossibile. Un buco non è un posto dove crescere i figli”. Più profondo, ci permettiamo di aggiungere, il buco nel quale sono stati precipitati i palestinesi. E anche Gaza e la Cisgiordania non sono un bel posto dove far crescere i figli, quelli che scampano alle bombe, ai proiettili, alla fame, alla sete… un catalogo degli orrori al quale vanno aggiunte le bombe a frammentazione Made in Israel di cui si è avuta notizia di recente.
Ne ha scritto Chris McGreal sul Guardian. Riportiamo: “Le armi di fabbricazione israeliana, progettate per spargere grandi quantità di schegge, stanno provocando ferite orribili ai civili di Gaza e danneggiando in modo devastante i bambini, hanno dichiarato al Guardian alcuni chirurghi stranieri che hanno lavorato sul territorio negli ultimi mesi”.
“I medici affermano che molti dei decessi, delle amputazioni e delle ferite […] dei bambini da loro curati sono stati causati dal lancio di missili e proiettili in aree affollate di civili imbottiti con metallo aggiuntivo, progettato per frammentarsi in piccole schegge”. Armi chirurgiche, cioè fatte per mandare sotto i ferri più persone possibile.