Bout, il mercante di morte che aveva lavorato per gli USA in Iraq
Tempo di lettura: 4 minutiIl recente scambio di prigionieri Russia – Usa ha una coda di certo interesse. Sui media mainstream l’americana Brittney Griner appare soffusa in un’aura di santità, nulla importando se le accuse mosse contro di essa dai tribunali della Russia e per le quali era stata incarcerata avessero un qualche fondamento (contrabbando e spaccio di droga sono accuse alquanto pesanti).
Dall’altra parte, l’automatismo per cui tutto ciò che tocca la Russia diventa letame, rovesciamento del mito di re Mida, ha gettato nuove ombre su Mosca, colpevole nell’occasione di aver chiesto la liberazione di un mercante di morte.
Bout il criminale e i benefattori
Sebbene il mestiere di Viktor Bout sia certo esecrabile, e non saremo certo noi a riabilitarlo anzi, ci sarebbe da discutere sulle disparità di trattamento tra il criminale in questione e la gratitudine di cui sono fatti oggetto i produttori di armi statunitensi, trattati alla stregua di benefattori dell’umanità nonostante godano lucrando sulle sofferenze altrui.
Sul punto rimandiamo a un articolo di Responsible Statecraft che riferisce l’eccitazione con la quale i Ceo delle industrie delle armi Usa hanno accolto la guerra ucraina, articolo del quale riportiamo il sintetico titolo: “I CEO di Big War: c’è il caos nel mondo, le nostre prospettive sono eccellenti”.
Questo il sottotitolo: “Con una sincerità che non si recepisce in ambiti più ufficiali, i dirigenti delle più importanti industrie di armi affermano che la violenza e le tensioni recenti giocano a favore dei loro azionisti” (ci si permetta di ricordare che nemmeno un dollaro degli sproporzionati utili di tali aziende va all’Ucraina, mentre il peso della sua assistenza grava tutto sulla classe media, americana ed europea, in termini di bollette, carovita etc…).
Ma al di là di tutto questo, che appartiene all’usuale, quanto feroce, ipocrisia del potere, sulle tante facce di Viktor Bout ci permettiamo di riportare quanto riferì la Abc il 6 marzo del 2008 in una nota firmata da Justin Rood e Maddy Sauer.
Il ricercato
“Quando questo pomeriggio le autorità statunitensi daranno l’annuncio ufficiale dell’arresto di un famigerato trafficante di armi e droga, probabilmente non verrà menzionato il fatto che i suoi aerei abbiano effettuato missioni di rifornimento per conto degli Stati Uniti in Iraq”.
“In una lettera del gennaio 2005 al Congresso Paul Wolfowitz, allora assistente del segretario alla Difesa, ha ammesso che il Dipartimento della Difesa ‘ha condotto affari con società che a loro volta ne hanno coinvolto altre in subappalto, che hanno noleggiato velivoli di proprietà di società associate al signor Bout” [le scatole cinesi non si usano solo in ambito finanziario; si usano spesso anche negli ambiti della Difesa e dell’intelligence, in particolare nell’ambito dei lavori sporchi].
“A quel tempo, Bout era già un ricercato internazionale. I dirigenti dell’intelligence consideravano Bout una delle più grandi minacce per gli Stati Uniti, sullo stesso piano del boss di al Qaeda Osama bin Laden. L’Interpol aveva emesso un mandato di arresto; il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite gli aveva impedito di viaggiare in diversi Paesi”.
“Ma ciò non ha impedito alle società che lavoravano per conto del governo degli Stati Uniti di pagare alle aziende controllate da Bout circa 60 milioni di dollari per portare rifornimenti in Iraq per sostenere l’impegno bellico degli Stati Uniti, come scrive un libro pubblicato l’anno scorso da due giornalisti che hanno indagato su Bout”.
“[…] Dal 2003 e almeno fino al 2005, le società che lavoravano per il Pentagono hanno utilizzato compagnie per il trasporto aereo di merci notoriamente collegate a Bout per circa 1.000 voli di rifornimento dentro e fuori l’Iraq, secondo il libro Merchant of Death: Money, Guns, Plans, and the Man Who Makes. War Possible. di Douglas Farah e Stephen Braun […]”.
Nel corso di un’intervista, “Farah ha affermato di ritenere che Bout possa aver lavorato per conto del governo degli Stati Uniti fino all’anno scorso”. […] Bout ha anche ammesso di aver incontrato il mullah Omar in Afghanistan, ma ha negato di aver mai fatto affari con i talebani” [difficile che confermasse, ovvio].
La prima denuncia e il film
“[…] Il lavoro di Bout in Iraq è stato reso di dominio pubblico per la prima volta da un articolo del maggio 2004, pubblicato dal Financial Times. I funzionari della CIA a Washington avevano segretamente avvertito i colleghi di Baghdad dei rapporti [di certe società con Bout ndr] già nell’autunno 2003, riferiscono gli autori. ‘Sembrerebbe… che l’avvertimento non sia arrivato alle persone giuste’, affermano i due autori citando in proposito un anonimo funzionario della CIA”.
“Bout non uscì di scena solo con le tasche piene di milioni di dollari dei contribuenti americani, come hanno scoperto Farah e Braun. I militari, infatti, hanno rilasciato ai piloti di Bout carte di rifornimento che consentivano loro di rifornire i propri aerei gratuitamente quando atterravano in Iraq. Un portavoce del Dipartimento della Difesa ha confermato agli autori che alla flotta di Bout sono stati forniti quasi 500.000 galloni di carburante presso l’aeroporto di Baghdad per gentile concessione dell’aeronautica americana”.
L’ultima chicca della storia raccontata da Abc riguarda il film “Il mercante di morte”, di cui fu protagonista Nicolas Cage, una pellicola tanto citata in questi giorni come fulgido esempio dell’impegno di Hollywood in favore della giustizia e la verità.
“Bout – annota l’Abc – è stato fonte di ispirazione per il film del 2005 Lord of War, con Nicolas Cage nei panni di un trafficante d’armi internazionale che vende i suoi prodotti a tutte le parti del conflitto. Secondo quanto ci è stato riferito, Bout ha affittato i suoi aerei ai produttori del film per utilizzarli nella produzione”.
A fornire il materiale militare a Hollywood è il Pentagono. Sul tema delle ingerenze della Difesa e della Cia sulla mecca del cinema scriveremo in altra nota, in questa ci limitiamo a evidenziare il simpatico realismo della pellicola.