Cade Damasco. Vince il caos costruttivo neocon
Finisce il regno di Assad. La lunga guerra iniziata nel 2011 termina con la conquista di Damasco e la vittoria dell’Occidente, di Israele e della Turchia, che si sono avvalsi come manodopera dei terroristi di al Qaeda e dell’Isis, riuscendo in pochi giorni a portare a termine ciò che non gli era riuscito in 14 anni, presumibilmente grazie a connivenze di alti gradi militari. E ora festeggiano la vittoria.
Si avvera con altri protagonisti il progetto di Abu Bakr al Baghdadi, il leader dell’Isis, di creare un Califfato, declinato in maniera diversa dai nuovi attori, nel cuore del Medio oriente. Un mostro al tempo generato dal caos costruttivo con il quale neocon e Tel Aviv volevano rimodellare il Medio oriente.
La spinta rivoluzionaria di al Qaeda
Così va il mondo e nulla importa che quanto avvenuto porti in segno del Terrore. Così, infatti M. K. Bhadrakumar su Indianpunchline: “Il genio di al-Qaeda è finalmente uscito dalla lampada e non c’è modo di fermare la sua agenda panislamica”.
Infatti, è probabile che chi ha usato le forze che hanno preso il potere in Siria provi a scatenarle non solo contro l’Iran – nel caso dovrà prima travolgere il confinante Iraq – ma, secondo Bhadrakumar, anche contro le oligarchie sunnite, facendo leva sulle masse arabe delle quali la nuova al Qaeda siriana si pone come avanguardia rivoluzionaria.
D’altronde, non è un caso che la caduta di Assad avvenga proprio quando questi era stato ricompreso nell’ecumene della Lega araba dopo lunghi anni di esclusione. Detto questo, non è detto che i regni sunniti siano bersaglio di regime-change.
Lo sviluppo siriano potrebbe essere semplicemente brandito per convincerli a rescindere i legami con l’Iran, riannodati di recente, e accettare la sudditanza a Israele e agli States insita negli accordi di Abramo, verso i quali nutrono legittima diffidenza.
Va però ricordato che la storia procede per vie tortuose ed è possibile che l’onda di marea che oggi appare inarrestabile venga arginata in tempi e modi non prevedibili. Infatti, già ora si può notare come l’agenda israelo-americana sia stata facilitata da un ridispiegamento strategico degli antagonisti regionali e globali, che hanno deciso di evitare lo scontro diretto con le forze islamiste scatenate in Siria.
La ritirata strategica di Iran e Russia
Assad non è stato aiutato né dall’Iran né dalla Russia, se non a parole (pochi i miliziani sciiti giunti in Siria in suo soccorso). Troppo poco il tempo per intervenire. Vista la mala parata, Russia e Iran hanno convinto Assad a dimettersi dalla presidenza e hanno favorito un passaggio di consegne pacifico del potere, con il premier che ha dato la propria disponibilità a lavorare con i nuovi venuti per una transizione ordinata.
Inoltre, sia Russia che Iran hanno affermato di avere intrapreso un dialogo con alcune fazioni dei miliziani e hanno evitato di definirli terroristi come nei comunicati precedenti, con Mosca che ha aggiunto che ha trovato un’intesa con essi per conservare le sue basi in Siria (almeno per ora).
La tempistica aiuta a comprendere quanto accaduto. Ieri si sono incontrate le delegazioni di Iran, Turchia e Russia ed è evidente che hanno concordato tale passo. Di fatto, è un accordo con la Turchia che da tempo spinge per il regime-change siriano usando dell’Esercito nazionale siriano e intrattenendo rapporti con Tahrir al sham – più legata a Stati Uniti e Israele – che l’hanno portato a termine.
Di fatto, Russia e Iran hanno accolto le richieste turche, non potendo più opporvisi, nella speranza che Ankara, con il loro aiuto, riesca a gestire il caos. Allo stesso tempo, Ankara si è interfacciata con gli americani e i curdi che controllano il Nord Est della Siria, con questi ultimi che hanno ceduto Mambij alle milizie filo-turche che da tempo cercavano di conquistarla. D’altronde, le forze turche e i curdi condividevano l’obiettivo di cacciare Assad e in questi ultimi giorni hanno trovato convergenze.
Il sogno neo-ottomano di Erdogan, dunque, ha un rilancio, ma resta da vedere cosa accadrà nei giorni e mesi successivi. Russia, Iran e Lega araba hanno chiesto che sia preservata l’integrità territoriale e anche Usa e Ue hanno dichiarato di voler lavorare per stabilizzare la situazione. Ma tante sono le incognite.
Il caos costruttivo dei neocon
Neocon e israeliani, infatti, vorranno continuare a usare le milizie e il caos siriano in funzione anti-Iran. Intanto, Tel Aviv ha approfittato della situazione per conquistare altro territorio siriano oltre al Golan. Poi c’è il dissidio di lunga data tra curdi e turchi, anche questo a rischio di conflagrazione.
Tante e forti le spinte centrifughe, che rischiano di far sparire la Siria dalla carta geografica. Infatti, Strana fa notare che il Paese potrebbe sprofondare in un caos in stile libico, dal momento che l’altro scenario recente che ha visto trionfare l’islamismo radicale, quello afgano – dove tale integrità è stata preservata – potrebbe non ripetersi a Damasco. Ciò perché in Afghanistan c’erano solo i talebani, in Siria sono tanti, troppi gli attori (come in Libia, appunto).
Quanto avvenuto ha a che vedere anche con gli interna corporis dell’Impero. Trump era intenzionato a non farsi trascinare in una nuova guerra mediorientale. Proposito arduo, che il caos siriano rende ancora più difficile. Un’altra mina disseminata sul cammino della futura amministrazione Usa.
Infine, non va dimenticato che la Grande Israele agognata dai messianisti vede nella caduta di Damasco un rilancio esponenziale, nella prospettiva di ampliare l’influenza israeliana nella regione, a iniziare dal Libano.
Infatti, Hezbollah vede svaporare, insieme all’alleato siriano, la cinghia di trasmissione con Teheran, indebolendosi ancora di più. Non si può escludere, dunque, che Israele, che ha violato più volte il cessate il fuoco stipulato con la milizia sciita libanese, non accarezzi l’idea di riaccendere il conflitto sopito per conquistare il Libano meridionale fino al fiume Litani, obiettivo sfuggito in precedenza.