Chi ricicla il petrolio dell'Isis
Tempo di lettura: 2 minutiDopo i bombardamenti degli Stati Uniti ai pozzi petroliferi in mano all’Isis inizia finalmente a uscire qualche articolo sull’oro nero controllato da questa organizzazione terroristica. Secondo un’inchiesta di Maurizio Ricci, pubblicata sulla Repubblica del 26 settembre, sarebbero 11 i giacimenti caduti in mano all’Isis, che si avvale di una «rete assai più fitta di raffinerie, spesso artigianali».
Dalla Siria l’Isis ricava «50 mila barili al giorno, cui aggiungere 30 mila barili dai giacimenti iracheni. Questi 80 mila barili corrispondono, però, a oltre 3 milioni di dollari al giorno nelle casse del califfo, supponendo un prezzo di 40 dollari a barile (contro i 100 dollari ufficiali) sul mercato nero».
Ricci spiega poi come avviene il contrabbando: «Il greggio arriva fino al terminale petrolifero di Ceyhan [Turchia ndr.], dove il petrolio islamista viene mischiato negli oleodotti al petrolio legale. È una rete di contrabbando robusta e sperimentata. In una seconda contraddizione mediorientale, infatti, questo commercio non è stato dall’Is. Esiste da decenni. Da quando, all’inizio degli anni ‘90, le sanzioni colpirono l’Iraq di Saddam Hussein e il greggio iracheno poteva arrivare sul mercato solo di contrabbando».
E, riguardo le raffinerie, scrive: «Buona parte delle raffinerie in cui finisce il greggio controllato dagli uomini del califfo si trova, infatti, in Kurdistan, cioè nella patria dei peshmerga che, ogni giorno, combattono contro i jihadisti. Sono raffinerie clandestine che il governo curdo ha sempre tollerato, perché servivano a lavorare e smerciare il petrolio che i leader di Kirkuk non volevano consegnare al governo di Bagdad».
(Titolo dell’articolo: L’oro nero dei jihadisti quaranta dollari al barile per pagare la guerra del terrore).
Nota a margine. Sull’oro nero dei jihadisti le informazioni continuano a essere contraddittorie e troppo spesso inquinate (troppi interessi e tante reticenze). Ma su quanto scrive Ricci su Turchia e Kurdistan, c’è una certa concordanza (anche se è ovvio che si tratta di una parte di un quadro molto più ampio). Strana guerra quella contro l’Isis: la Turchia è membro della Nato e a quanto pare tollera un traffico che finanzia un movimento considerato acerrimo nemico dell’Occidente. Un destino che lo accomuna al Kurdistan al quale, sempre l’Occidente. sta inviando armi per fronteggiare l’Isis… strana guerra, sì.