La Chiesa e l'accordo con la Cina. Nota a margine
Tempo di lettura: 2 minutiL’accordo tra la Chiesa cattolica e la Cina è passo epocale, storico. Un passo da lungo tempo ricercato dalla Chiesa e dai suoi Pontefici, da Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, per citare solo gli ultimi.
“Non è un mistero per nessuno che la Santa Sede, a nome dell’intera Chiesa cattolica e — credo — a vantaggio di tutta l’umanità, auspica l’apertura di uno spazio di dialogo con le Autorità della Repubblica Popolare Cinese, in cui, superate le incomprensioni del passato, si possa lavorare insieme per il bene del popolo cinese e per la pace nel mondo”. Così Giovanni Paolo II nel 2001, in un intervento a un convegno su Matteo Ricci che Benedetto XVI volle citare in un messaggio indirizzato ai cattolici cinesi.
L’intesa è provvisoria, in attesa di una modulazione definitiva e di una formalizzazione. E porta l’unità tra la Chiesa patriottica e quella fedele a Roma.
Così Francesco nel “Messaggio ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale“: ho “deciso di concedere la riconciliazione ai rimanenti sette Vescovi ‘ufficiali’ ordinati senza Mandato Pontificio e, avendo rimosso ogni relativa sanzione canonica, di riammetterli nella piena comunione ecclesiale”.
L’Accordo ha suscitato la gioia di tanti fedeli, cinesi e non, ma anche scandalo in alcuni ambiti ecclesiali, che l’hanno visto come un cedimento al governo e un tradimento del sangue dei martiri.
Non entriamo in tale dolorosa contesa, che ha motivazioni profonde. Rimandiamo sul punto alle parole spese dal Papa nel messaggio citato e a un articolo di Gianni Valente.
Per quel che ci riguarda ci limitiamo a una nota a margine sulla nomina dei vescovi, pietra di inciampo costante dei rapporti tra Pechino e Roma. Tale nomina sarà appannaggio del Papa, in accordo con le autorità.
Così Francesco in un’intervista ai media: “Quello che c’è, è un dialogo sugli eventuali candidati, ma nomina Roma, nomina il Papa, questo è chiaro”.
“In America Latina – ha aggiunto – per 350 anni erano i re del Portogallo e della Spagna a nominare i vescovi. Non dimentichiamo il caso dell’impero austro-ungarico”.
Si potrebbe aggiungere, e questa è la nostra nota a margine, che anche nella Polonia comunista avveniva un dialogo più che serrato tra Chiesa e autorità sulle nomine episcopali.
Un aneddoto in proposito è riportato in un libro scritto dai cronisti della Stampa Giacomo Galeazzi e Francesco Grignetti.
«Più volte Wyszynski [cardinale Primate di Polonia ndr] aveva presentato terne di nomi rifiutate dal governo comunista. Dopo due diverse terne respinte in tronco, un alto funzionario del Partito comunista, Zenon Kliszko, suggerisce che venga proposto “un uomo di dialogo, come il giovane vescovo ausiliare, di cui ho dimenticato il nome, con il quale in due settimane abbiamo risolto il caso del seminario di Cracovia”». Era il giovane Karol Wojtyla…