Cina - Usa: tra nuove tensioni e cenni distensivi
Tempo di lettura: 3 minuti“Per la prima volta da decenni, la Cina non fissa un tasso di crescita del Pil!”. Questo il titolo di un articolo del Global Times, che va letto insieme alla notizia della proposta di introdurre una legge sulla “Sicurezza” di Hong Kong, che accrescerebbe la tutela di Pechino sulla provincia autonoma.
Tempi difficili, da cui l’incertezza sul futuro economico della Terra di mezzo, che spiega la decisione di non fissare un obiettivo di crescita, e l’incertezza dei futuri sviluppi geopolitici, che spiega la decisione di accrescere il controllo su Hong Kong, teatro, fino allo scoppio della pandemia, di una rivoluzione colorata made in Usa.
Nuova benzina sul fuoco
Il Congresso del partito comunista che si è aperto a Pechino vede dunque una duplice svolta.
E se la decisione di non fissare un chiaro obiettivo economico ha certa intelligenza, dato che l’incertezza sul futuro esporrebbe le autorità cinesi al rischio di fallire obiettivi prefissati, è chiaro che il disegno di legge riguardante Hong Kong è destinato ad acuire le controversie Usa-Cina.
Nonostante sia presentata come dettata dall’emergenza pandemia, offre ovviamente il destro all’accusa di violare l’accordo che garantisce l’autonomia di Hong Kong fino al 2047. Insomma, ulteriore combustibile per la propaganda anti-cinese.
La mossa di Pechino era attesa con ansia dai fautori dello scontro con la Cina, che hanno sostenuto le proteste degli hongkongers solo per raggiungere tale risultato, dato che era ovvio che i ribelli non avevano alcuna speranza di imporre al governo centrale il loro programma radicale, cioè l’indipendenza.
Si voleva e si vuole un nuovo post-Tienanmen, precipitare Pechino nell’isolamento internazionale successivo a quella strage. Un obiettivo in parte conseguito con la propaganda del “virus cinese”, come rilevato da un autorevole istituto di ricerca del Paese (Piccolenote).
Pechino si sente sotto attacco, da cui la necessità di evitare una nuova deflagrazione delle proteste di Hong Kong – che ritiene alquanto scontata nel futuro prossimo venturo -, che in questa temperie, e in combinato disposto con la nuova aggressività Usa, può procurarle seri danni.
La mossa di Pechino ha già attirato la proposta di nuove sanzioni anti-cinesi, alimentando quella spirale di azione-reazione che aggraverà sempre più le tensioni Usa-Cina.
Nel riferire gli sviluppi, il New York Times spiega come Trump sia entrato in questa spirale trascinato dai suoi, in particolare dal cosiddetto stratega Steve Bannon, essendo egli alquanto “riluttante” a percorrere una strada che sa distruttiva.
Anche perché dall’altra parte del Pacifico, se è vero che l’aggressività Usa sta rafforzando l’ala dura, è pur vero che, sottotraccia, l’esile filo che lega Xi e Trump non si è mai interrotto.
Le segrete alleanze tra falchi e moderati
Significativo a tale riguardo l’annuncio su un ulteriore passo dell’accordo di Fase 1 stipulato a suo tempo dai due presidenti (sembra un secolo fa): Pechino ha infatti deciso di ampliare la gamma delle importazioni dagli Usa (South Cina Morning Post).
La disposizione a non bruciare tutti i ponti si nota anche sull’altra sponda del Pacifico. Indicativo, sul punto, il recente documento sull’approccio strategico degli Stati Uniti alla Repubblica popolare cinese che, pur sottolineando tutte le criticità del rapporto tra le due potenze e rilevando la necessità di contrastare l’espansione di Pechino, non chiude affatto la porta alla collaborazione.
Gli Stati Uniti, vi si legge, “si rallegrano della cooperazione” con la Cina e “contano su una concorrenza leale” tra i due Paesi.
E ancora: “gli Stati Uniti riconoscono la competizione strategica a lungo termine tra i nostri due sistemi […] Il governo degli Stati Uniti continuerà a proteggere gli interessi americani e ad espandere l’influenza americana. Allo stesso tempo, restiamo aperti all’interazione costruttiva, orientata ai rapporti e alla cooperazione con la Cina, negli ambiti in cui i nostri interessi coincidono”.
Il documento strategico è stato pubblicato dalla Casa Bianca, ed è stato redatto dagli esperti della Sicurezza nazionale Usa, ma è ovvio che ci sia lo zampino, o zampone, di Trump, che ancora non ha ceduto del tutto alle sirene dei suoi consiglieri.
Alle segrete concordanze dei moderati delle due sponde corrispondono le palesi alleanze tra falchi, dove i falchi di Washington stanno rafforzando quelli di Pechino, secondo lo schema affinato durante la Guerra Fredda Usa-Urss, monotonia di certe strategie ricorrenti.
Gli obiettivi di tale strategia sono anch’essi, nelle direttrici primarie, alquanto ripetitivi: associare in vario modo i Paesi alleati e terzi alla crociata anti-cinese allo scopo di togliere spazio ai commerci del Dragone e di porre tali Paesi sotto una più rigida tutela Usa, inoltre spingere Pechino a investire in armamenti, come da richieste dei falchi, sottraendo preziose risorse allo sviluppo economico.
Sul punto, va ricordato il significativo l’ammonimento di Jimmy Carter: “Abbiamo sprecato, credo, $ 3 trilioni” in spese militari. “La Cina non ha sprecato un solo centesimo per le guerre, ed è per questo che ci stanno davanti. Quasi in tutti i campi”.
Visto che chi spinge per il confronto Usa-Cina non vuole certo porre fine alla “guerra infinita” (al limite rivederla), si tratta di trascinare Pechino in conflitti locali, come accadeva al tempo della permanente guerra a bassa intensità Usa-Urss. Vedremo.