Convergenza Usa-Russia per fermare i massacri in Siria

È di circa 1300 morti il bilancio dei massacri avvenuti alla fine della scorsa settimana, quando le milizie islamiste hanno imperversato contro gli alawiti che popolano i governatorati di Tartus e Latakia in Siria, uccisi a sangue freddo, a volte sgozzati, mentre molti altri sono stati picchiati, torturati, le loro case rase al suolo.
Questa la Siria liberata dal dittatore Assad dai liberatori islamisti sostenuti dall’Occidente, cioè i vecchi miliziani dell’Isis e di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), la sezione siriana di al Qaeda, che hanno mostrato il loro vero volto dopo mesi di quiete necessari a non creare imbarazzo ai loro sponsor stranieri.
Destabilizzare le aree delle basi russe
L’attacco serviva a disarmare una milizia alawita formatasi dopo la caduta di Assad, al-Mukhtareyah e al-Muzayraa, i cui membri sono stati uccisi, e a terrorizzare l’odiata comunità religiosa, islamica ma non sunnita come i loro assassini, dalla quale provenivano i quadri del precedente governo.
Tutto ciò è accaduto nonostante il fatto che il vecchio apparato statale di Assad abbia favorito una transizione pacifica del potere ai nuovi padroni, continuando a lavorare mentre la capitale cadeva nelle mani delle milizie terroriste (CNN). Uno zelo che ha risparmiato ulteriori tragedie alla popolazione e che era stata accolto con favore dai nuovi padroni.
Il massacro avvenuto sulle coste siriane serviva a eliminare elementi recalcitranti a sottomettersi in tutto e per tutto a Damasco, ma soprattutto a destabilizzare le aree che ospitano le basi russe, che sono rimaste nel Paese nonostante le pressioni dell’Occidente perché i loro protetti ascesi al potere le smantellassero.
È più che probabile che a placare il pogrom siano stati Russia e Usa (Trump già nel primo mandato aveva tentato di recedere dal regime-change siriano ritirando le truppe Usa, iniziativa sabotata allora e riproposta all’inizio del secondo mandato). Lo denota il fatto che, dopo due giorni di sangue, entrambi i Paesi hanno chiesto una riunione urgente a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sulla situazione siriana.
Richiesta che sarà stata accompagnata da richiami riservati alle autorità di Damasco, tanto che, in coincidenza con la richiesta, è arrivato l’annuncio del presidente siriano, Ahmed al-Sharaa (noto come Abu Mohammad al-Jolani, quando era leader di al Qaeda), il quale ha dichiarato cessate le ostilità.
La convergenza Usa-Stati Uniti è fotografata dal titolo di una nota di al Akhbar che dà conto del comunicato finale della riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, reso pubblico ieri: “Raro accordo di Stati Uniti e Russia sulla Siria”. Il documento condanna le stragi e chiede alle autorità di Damasco di fermarle (nonostante siano finite le uccisioni di massa, le minoranze sono ancora sotto tiro).
L’accordo con i curdi
Da notare che, nello stesso giorno in cui Stati Uniti e Russia si sono mosse, Sharaa ha incassato un dividendo notevole, avendo spuntato un accordo con le Forze democratiche siriane (SDF) che controllavano il nord-est della Siria per conto dei padroni statunitensi.
In tal modo HTS prenderà il controllo, con modalità da determinare, di quasi tutto il Paese e il presidente turco Erdogan, protettore di HTS, può vantare di aver ottenuto la sua vittoria sui curdi, asse portante delle SDF, che considera nemici esistenziali del suo Paese e contro i quali da tempo incrocia le lame in Siria con attacchi diuturni.
In realtà, il processo di distensione con i curdi era in corso da giorni, da quando Abdullah Ocalan – il leader storico del PKK, il partito dei lavoratori curdi che Erdogan più teme – dal carcere turco nel quale è ristretto da decenni aveva chiesto il disarmo dell’organizzazione, presente in Turchia e Siria.
Certo, la distensione con il Pkk non comprendeva automaticamente né le YPG, le unità di difesa del popolo curdo siriane che ricomprendono anche altre anime della minoranza curda, né le SDF, nelle quali sono intruppate anche milizie islamiste.
Ma una volta che fosse andato in porto il disarmo, con il Pkk che aveva accolto con cauto favore l’appello di Ocalan, è probabile che il processo si sarebbe ampliato ad abbracciare l’intera comunità curda siriana.
Le stragi hanno accelerato il processo, dal momento che è probabile che gli Stati Uniti abbiano chiesto ai curdi siriani di trovare un compromesso con Damasco, dal momento che non hanno più intenzione di difenderli dalle minacce, non solo verbali, di Erdogan.
In tal modo gli Usa hanno investito il sultano del compito di gestire la torbida colonia mediorientale con un’azione condivisa da Mosca, che sembra aver agito in parallelo nella speranza che, consegnando tale successo a Erdogan, questi si decida a tenere a freno i suoi sanguinari ascari, sia nei riguardi delle minoranze siriane, di cui la Russia si è posta come protettrice (in particolare dei cristiani), che delle basi russe in loco. Questo sembra indicare la stretta successione di eventi, che non sembra affatto scollegata.
Israele e il codice del caos
Fin qui gli interna corporis siriani, che non sarebbero completi se venisse obliato il convitato di pietra di tale caos, Israele, che dai tempi del regime-change ha manovrato dietro le quinte contro Assad intrecciando rapporti con le milizie islamiche/terroriste che imperversavano nel Paese in parallelo con Washington e Ankara e alcuni Paesi europei (Francia e Gran Bretagna).
Israele, che ha occupato ormai tutto il Golan e una zona cuscinetto che si estende fin quasi a Damasco, ha conseguito una vittoria strategica con la caduta di Assad, dal momento che tale sviluppo ha fatto collassare l’asse sciita che da Teheran terminava in Libano (cioè Hezbollah), che contrastava da anni.
Ma l’appetito vien mangiando e ora sta tentando di estendere la sua influenza in Siria, sia ponendo sotto la sua protezione la minoranza drusa che abita ai suoi confini, parte della quale però diffida di tali manovre (The Cradle), sia destabilizzando il resto del Paese con bombardamenti mirati e altro. Come ha dichiarato Tamir Hayman, ex capo dell’intelligence militare di Israele, “Il caos in Siria è benefico [per Israele]. Lasciateli combattere tra loro”.
Alla caduta di Assad, Larry Johnson scrisse: “Erdogan ha liberato i demoni dell’eccezionalismo turco/ottomano in tacita complicità con l’ambizione escatologica israeliana. Sarà un disastro”.
Tale complicità si è rotta e ora Turchia e Israele si contendono l’influenza nel Paese; e l’accordo con i curdi, consolidando sia l’integrità territoriale della Siria che la presa di Erdogan su Damasco, inasprisce la competizione (vedi Jerusalem Post: “Israele rischia una guerra con la Turchia”).
Tante le spinte destabilizzatrici, tante le variabili in campo e l’incertezza sul futuro: tale l’infausto destino del popolo siriano dopo aver attraversato la cura liberal/neocon che ha posto fine al governo di Assad.
Ma questo è il passato, oggi, la Shari’a è al potere. Di questi giorni il varo della nuova Costituzione che, benché simile a quella precedente, consegna tutto il potere a Sharaa, alias al Jolani, per cinque anni. Nonostante le infauste derive e i massacri, l’Europa sostiene con forza la nuova Siria, così simile al Califfato vagheggiato dall’Isis, ma che ora veste all’Occidentale. Non più le nere vesti del Terrore, ma giacca e cravatta: dresscode obblige.