25 Febbraio 2020

Coronavirus: se i pastori abbandonano il gregge

Coronavirus: se i pastori abbandonano il gregge
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A causa del coronavirus in tante chiese del Nord Italia è stata abolita la santa messa. La folla, purtroppo, favorisce il diffondersi del virus. I fedeli che non possono andare a messa, causa eccessivo assembramento, possono però accedere a locali pubblici, metropolitane, autobus, supermercati, etc.

C’è un qualche paradosso. Certo, questi ultimi sono servizi essenziali, altro è il più. Resta che forse in qualche fedele potrebbe essere rimasta un’idea, seppur residuale, che anche la messa è cosa essenziale come il pane quotidiano. Tant’è, adeguarsi al paradosso è d’obbligo e va bene così, più o meno.

La messa è finita

La misura discende dalla paura dilagante per un virus che comporta un certo grado di pericolo, più della normale influenza, ma certo non a livello della peste  (vedi Piccolenote), come invece sembra essere percepito.

Ma al di là dell’allarmismo dilagante, che vince sulla necessaria prudenza, interessa in questa nota accennare appunto al disagio per la cessazione delle messe, abolite per delibera civile alla quale le Chiese locali, a quanto pare, non potevano obiettare (anche se certo definire “folla” le quattro vecchiette che in genere – eccezioni a parte – frequentano le messe feriali potrebbe apparire un tantino esagerato).

Forse c’è stata un’accettazione un po’ troppo condiscendente da parte della Chiesa per una disposizione tanto dura per il piccolo resto del popolo di Dio. Forse si poteva tentare una via intermedia, che garantisse le celebrazioni eucaristiche almeno in alcune aree, osservando la prudenza del caso (come avviene in aree non a rischio, vedi nota a margine).

Ma forse ha prevalso il timore che, in caso di una qualche pur timida opposizione, una chiesa particolare trasformata in focolaio di virus avrebbe suscitato critiche feroci e conseguente fuoco incrociato come già per la pedofilia (vedi The Hill sulla diffusione del virus in un movimento religioso sudcoreano). Così si evitano controversie, che evitiamo anche noi.

L’avviso ai naviganti

Al di là della disposizione in sé, ha suscitato certa perplessità il modo col quale talune diocesi e parrocchie hanno comunicato la serrata delle celebrazioni eucaristiche.

In certi avvisi non si percepiva una nota dolorosa per tale privazione; si notava un certo distacco quasi burocratico, quasi fosse un avviso come altri, con aggiunta, necessaria per distinzione, di qualche benedizione e preghiera del caso.

Il risultato, certo non voluto, è stato che certi comunicati suonassero come un bel “ciaone” ai fedeli.

Così che la Chiesa, che ha voluto cambiare il “Padre nostro” inserendo “non abbandonarci alla tentazione” al posto di “non indurci in tentazione” (non è una nuova traduzione, il testo greco è inequivocabile, è una nuova formulazione, ma ci torneremo), sembrasse invece abbandonare i fedeli alla loro sorte.

Tali comunicati apparivano in evidente stridore con la notizia data, ché abolire la santa messa non è nuova da dare come un avviso ai naviganti, a meno di non comprendere, e si spera non sia il caso, quale dramma sia per la Chiesa non celebrare la santa eucaristia, in particolare la domenica; e per i fedeli non potervi partecipare come chiede il loro Signore, per attingervi la “libera, bastevole, necessaria” grazia di Dio, che risana e fortifica, così importante in tempi drammatici.

Affidati a Dio

Negli avvisi in questione, peraltro, poche o nulle le disposizioni a sacerdoti, religiosi e religiose, ai quali si immaginava si chiedesse (lo si farà magari) un di più di carità in tale circostanza.

Certo, nessuno pretendeva cenni di grazia simili a quelli descritti nelle peste manzoniana, quando frotte di religiosi corsero ad accudire gli ammalati, morendo come mosche “in allegrezza”: uno spettacolo di carità rimasto impresso nel cuore della città di Milano.

Né qualcosa di simile alla chiamata di don Bosco, che mandò i suoi ad assistere i malati delle peste che aveva aggredito il Piemonte, raccomandando agli inviati la via dell’igiene e della fedeltà alla messa e ai sacramenti come pegno per la salvezza anche corporale, tanto che non ne morì nessuno.

Ma si sperava comunque che tali comunicati ricordassero l’importanza per sacerdoti, religiosi e religiose di accompagnare il popolo di Dio privato di un beneficio così essenziale, soprattutto attraverso la preghiera e i sacramenti. E che richiamassero l’importanza della grazia, senza la quale l’uomo nulla può.

Peraltro, Francesco spiegava che il pastore deve puzzare di pecora, olezzo non percepito nell’occasione. Ma va bene così, certo qual grigiore appare specchio fedele di una Chiesa ormai incapace, se non per eccezioni, di parlare agli uomini se non in termini umani, avendo smarrite le vie del soprannaturale.

La messa è finita, non con un pianto, con un avviso…

Al di là della facile ironia, che si spera sia perdonata, per fortuna si registrano cenni di segno opposto. Di grato conforto.

 

Nota a margine. In aree meno “a rischio”, altre restrizioni: abolizione del segno della pace, eucaristia in mano e acquasantiera vuota. Quest’ultima abolizione, per paradosso, potrebbe rivelarsi una benedizione, perché rammenta una “banale” dispensatrice di grazie tanto spesso ignorata da sacerdoti e fedeli… magari servirà a riscoprirla.