Il coronavirus entra di prepotenza nelle presidenziali Usa
Tempo di lettura: 3 minutiL’America tocca i 100mila morti da coronavirus, almeno stando alle cifre ufficiali. Una strage che cala come una mannaia sulla campagna elettorale che sta infiammando il Paese. E che viene usata dagli oppositori di Trump come un martello contro il presidente.
D’altronde ogni crisi “è un’opportunità” per cambiare le cose, ha dichiarato lo speaker Nancy Pelosi in una conferenza stampa di ieri, con una caduta di stile sottolineata dai suoi antagonisti.
Guerra di emozioni e cronaca nera
Il Washington Post di Jeff Bezos, che aveva sollecitato Bloomberg a candidarsi contro Trump e che sa bene che ogni crisi è un’opportunità (sta guadagnando miliardi col coronavirus), mette in prima pagina il numero fatidico, a evidenziare la tragedia in cui versa il Paese.
Segue di alcuni giorni la paginata del New York Times che riportava i nomi di mille vittime, a comprenderle tutte, per indicare che nessuna di esse è un numero. Iniziative editoriali che possono apparire di partecipazione, ma che hanno anche l’effetto di drammatizzare ancora di più una situazione già tragica.
È anche una guerra di emozioni quella che si sta combattendo sottotraccia in questa campagna elettorale. Se Trump, in modi e forme a volte discutibili, tenta di far passare il messaggio che l’America deve reagire e tornare alla vita normale, i suoi antagonisti tendono a enfatizzare la tragedia. Lo slogan “piove, governo ladro” è facile, d’effetto e ha grande efficacia a tutte le latitudini.
Una guerra che vive anche di episodi, come l’infelice scivolata di Joe Biden, che a un uomo di colore che affermava di votare Trump ha detto: “Allora non sei nero“. Gaffe diventata virale e che ha rischiato di renderlo inviso agli afroamericani, che in maggioranza votano il suo partito.
All’episodio è seguito cronologicamente l’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte della polizia di Minneapolis, che ha riacceso il fuoco della contesa razziale. Gli afroamericani sono tornati in piazza a protestare contro la brutalità della polizia verso la loro comunità.
Trump ha chiesto un’indagine approfondita e ha promesso giustizia, ma l’acuirsi dello scontro razziale è un’altra tegola sulla sua campagna elettorale, dato che è accusato di blandire populisti e razzisti.
I social “contro”
Né lo aiuta aver contro i social: alcuni dei suoi tweet hanno ricevuto il bollino di “non accurato”, in ottemperanza alle nuove disposizioni sulle Fake News.
Bizzarro che un social si erga a giudice di un messaggio del presidente degli Stati Uniti, peraltro indicando ai lettori di leggere giornalisti mainstream, con i quali Trump combatte da sempre (quelli, peraltro, che hanno narrato il “non accurato” Russiagate).
I tweet di Trump riguardavano la decisione della California di cambiare le modalità di voto delle presidenziali, passando dal voto tradizionale a quello postale, per evitare che i seggi fossero occasione di diffusione del coronavius.
Per Trump la nuova modalità offrirebbe possibilità a brogli. Un’opinione più o meno fondata, che, invece di sfumare, la censura preventiva di Twitter mette in evidenza.
La nuova censura di Twitter è stata istituita a seguito della pandemia, per evitare tweet sul Covid-19 con contenuti a rischio. I gestori di Twitter scrivevano che però essa avrebbe potuto essere applicata anche a tweet di altro tema, con rischi “meno gravi, ma il cui contenuto può confondere o fuorviare” i lettori. Formula vaga che può abbracciare tutto.
Una censura nata e giustificata sull’onda della pandemia ha trovato, quindi, un’applicazione in una controversia politica, e di stretta politica, su una base del tutto arbitraria e aleatoria.
Insomma, il coronavirus ha prodotto le elezioni per posta in California (per ora), aprendo forse possibilità nuove alla manipolazione del voto, e introdotto la censura su Twitter… bizzarrie delle nuove opportunità.
La rete e i manici di scopa
Non si tratta di stare con Trump o meno, ma di mettere in evidenza i termini di una contesa sulla quale si decidono i destini dell’Impero, e che interpellano alquanto.
Peraltro ciò segnala la stortura di una rete consegnata ai pochi, i quali hanno possibilità di influenzare le moltitudini a loro libero arbitrio, dal momento che non esiste alcuna legge che regoli i social, che risultano così autoreferenziali.
Dopo quanto accaduto, Trump sta correndo ai ripari. Questo il titolo dell’Ansa: “Trump prepara un decreto contro i social”, come se emanare una norma sui social sia qualcosa di “contro”.
In realtà essi sono fuorilegge, nel senso tecnico del termine, come accade per la Finanza, consegnata alla “deregulation”. Il Potere, quello vero, quello della Tecnofinanza, che influenza nel profondo le moltitudini, non accetta norme, vive di arbitrio.
Chiudiamo con un cenno più ampio: si noti come finora Joe Biden non abbia detto o fatto quasi nulla, a parte qualche dichiarazione che non legge nessuno. Eppure sta salendo nei sondaggi.
Lo scontro non è tra lui e Trump, ma tra Trump, le élite della Tecnofinanza e quel Deep State riguardo al quale alcuni giorni fa ha detto di avere “una chance” per distruggerlo.
Se a sfidare Trump fosse un manico di scopa, nei sondaggi avrebbe le stesse percentuali di Biden. Ciò dice molto sulle prospettive di una presidenza del pur bravo Joe.