Ucraina: la riconquista della Crimea, un feticcio per prolungare la guerra
Tempo di lettura: 4 minuti“Non c’è una soluzione alla guerra in Ucraina senza la liberazione della Crimea. Altre strade sarebbero una perdita di tempo”. Così Zelensky ieri. Tradotto: non si siederà ad alcun tavolo negoziale, se la Russia non accetta preventivamente di cedere la Crimea. Un altro modo per dire che non negozierà affatto con Mosca, dal momento che è dal 2014, anno dell’annessione, che Mosca afferma che l’appartenenza della Crimea alla Russia è fuori discussione.
Nessuna tregua, nessun negoziato, rifiutando così le aperture di Mosca sul tema. Tale la follia del guerrafondaio di Kiev, che peraltro sta cercando in tutti i modi di coinvolgere in maniera aperta la Nato nel conflitto, cioè di dare inizio alla Terza guerra mondiale, com’è stato palese nella vicenda del missile ucraino lanciato o finito per caso in Polonia (sul punto rimandiamo all’articolo dal titolo “Porre fine alle follie di Volodymyr Zelensky” di Philip Giraldi).
Al di là delle implicazioni più generali delle decisione di rifiutare le trattative, per poi lamentarsi che i russi continuano a bombardare, aspetto inevitabile della guerra alla quale Zelensky e i suoi sponsor non vogliono porre fine, è molto istruttiva la storia recente della Crimea, raccontata da Nicolai Petro su Responsible Statecraft.
Le aspirazioni della Crimea a la repressione ucraina
“È noto – scrive Petro – che nel 1954 la regione fu trasferita dalla SFSR russa (Repubblica socialista federativa sovietica) alla SSR ucraina (Repubblica socialista sovietica) come ‘dono’ al popolo ucraino in onore del 300° anniversario del Pereyaslavl Rada che unì l’Ucraina alla Russia”.
“Meno noto, invece, è che nel gennaio 1991, mentre l’URSS si stava disintegrando, il governo regionale della Crimea decise di indire un referendum sul ripristino dell’autonomia della Crimea. Quasi l’84% degli elettori registrati partecipò alla votazione e il 93% di essi votò per la sovranità della Crimea“.
“Ciò ha aperto la porta alla potenziale separazione della Crimea sia dall’URSS che dalla SSR ucraina, consentendole così potenzialmente di aderire al nuovo Trattato di Unione, proposto allora da Mikhail Gorbaciov, come membro indipendente”.
“Il 12 febbraio 1991, il Soviet Supremo della SSR ucraina (il suo principale organo legislativo) riconobbe quei risultati. Il 4 settembre 1991, il Soviet Supremo dell’attuale Repubblica Autonoma di Crimea (ACR) proclamò la sovranità della regione, ma aggiunse che intendeva creare uno stato democratico sovrano ma all’interno dell’Ucraina”.
“È in questo contesto di sovranità regionale che il 54% della Crimea votò nel dicembre 1991 a favore dell’indipendenza ucraina [dall’Unione sovietica], con un’affluenza alle urne del 65%, la più bassa di qualsiasi altra regione dell’Ucraina”.
“Fin dall’inizio, però, le due parti avevano interpretazioni diametralmente opposte di ciò che significava ‘sovranità’ della Crimea”, intendendo Kiev dare una certa autonomia alla regione, ma non un effettivo status di indipendenza.
Date le premesse, si andò allo scontro: il 5 maggio 1992, il Soviet Supremo della Repubblica Autonoma di Crimea “dichiarò la totale indipendenza dall’Ucraina, annunciando un nuovo referendum che doveva tenersi nell’agosto 1992. Il parlamento ucraino dichiarò illegale l’indipendenza della Crimea, autorizzando il presidente Kravchuk a utilizzare qualsiasi mezzo necessario per impedirla“.
Lo scontro fu evitato: la Crimea revocò la decisione e trattò per uno status di autonomia all’interno dell’Ucraina. Fu una soluzione solo “temporanea”, perché “non si era affrontata la questione centrale: il desiderio di gran parte della popolazione della Crimea di far parte della Russia piuttosto che dell’Ucraina”.
La questione riemerse “nel 1994, quando Yuri Meshkov e il suo partito ‘Russia Bloc’ vinse le elezioni per la presidenza della Crimea con una piattaforma che sosteneva la riunificazione con la Russia”.
“Ancora una volta, una crisi fu scongiurata tra il 16 e il 17 marzo 1995, quando il presidente ucraino Leonid Kuchma, dopo essersi consultato con il presidente russo Boris Eltsin e averne ricevuto il sostegno, inviò le forze speciali ucraine per arrestare i membri del governo della Crimea. Meshkov fu deportato in Russia e, quello stesso giorno, la Rada [il parlamento ucraino] abrogò la costituzione della Crimea e abolì la presidenza della Crimea”.
Ma le aspirazioni filo-russe furono solo sopite. “in una intervista del 2018, l’ultimo primo ministro della Crimea nominato dall’Ucraina, Anatoly Mogiloyv, dichiarò che la Crimea è sempre stata ‘una regione russa‘, aggiungendo di aver ripetutamente avvertito Kiev che, se si fosse rifiutata di concedere una maggiore autonomia alla penisola, essa si sarebbe precipitata tra le braccia della Russia”.
L’annessione alla Russia
Non meraviglia, dunque, che quando nel 2014 la Russia inviò il suo esercito in Crimea, non dovette sparare un solo colpo per prenderne il controllo. Nessuna vittima, l’invasione più facile e pacifica della storia dell’umanità (questo non lo ricorda Petro, ma val la pena rammentarlo).
Peraltro, l’invasione avvenne dopo il colpo di Stato di Maidan, quando Kiev, rifiutando di trattare con le regioni del Donbass che chiedevano autonomia, inviò contro di esse il proprio esercito, che venne incenerito dopo mesi di guerra (la Russia allora poteva prendere il controllo di tutta l’Ucraina, ormai disarmata, ma non lo fece).
Dopo l’arrivo dell’esercito russo in Crimea, fu indetto un referendum che sancì l’annessione. Tale referendum non venne ovviamente accettato né da Kiev né dall’Occidente, che li bollò come falsati.
Detto questo, però, Petro ricorda come successivamente, “una serie di sondaggi sponsorizzati dall’Occidente hanno evidenziato un alto livello di sostegno alla riunificazione con la Russia. Un sondaggio Pew dell’aprile 2014 ha rivelato che il 91% degli intervistati della Crimea riteneva che il referendum del 2014 fosse libero ed equo”.
“Un sondaggio del giugno 2014 realizzato da Gallup ha mostrato che quasi l’83% della popolazione della Crimea (94% tra quelli di etnia russa e il 68% tra quelli di etnia ucraina) pensava che il referendum del 2014 riflettesse le opinioni della popolazione. Un sondaggio della primavera 2017 condotto dal Centro per gli studi internazionali e dell’Europa orientale con sede in Germania ha rilevato che, se gli fosse stato chiesto di votare di nuovo, il 79% degli intervistati avrebbe espresso lo stesso voto”.
Peraltro, il duro braccio di ferro avviato da Kiev contro la regione reproba non ha giovato alla sua causa, in particolare la decisione di tagliare l’acqua potabile, con la Russia in seria difficoltà a supplire ai rifornimenti necessari.
Tornando a Petro, egli annota come “la storia della Crimea dal 1991 offre una vivida illustrazione di come il nazionalismo possa portare le élite nazionali all’autoillusione. Conoscendo perfettamente le aspirazioni di autonomia di lunga data della regione, i politici nazionalisti di Kiev hanno scelto di ignorarle o sopprimerle”.
Da cui la decisione non forzata di aderire alla Russia, che invece ha saputo gestire con pragmatismo le diverse anime della penisola, come annota Petro, in particolare l’etnia tatara, sulla quale l’Occidente aveva puntato per dar vita a una resistenza all’invasore (The Atlantic), sbagliando i calcoli.
Insomma, la popolazione della Crimea non sembra avere alcun desiderio di tornare sotto il controllo di Kiev, né tale reintegrazione è presa molto in considerazione dagli alleati dell’Ucraina, che sanno bene come al termine della guerra, quando ci si arriverà, il compromesso tra le parti non riporterà la penisola tra le braccia di Kiev. Così, più che un obiettivo da perseguire, la riconquista della Crimea appare un feticcio da brandire perché la macelleria prosegua.