15 Febbraio 2022

Crisi Ucraina: una manna per petrolio, gas e armi made in Usa

Crisi Ucraina: una manna per petrolio, gas e armi made in Usa
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La Russia fa rientrare nelle caserme parte delle truppe schierate presso i confini dell’Ucraina. Ciò accade a due giorni dal giorno del giudizio, il fatidico 16 febbraio nel quale, secondo gli Stati Uniti, avrebbero attaccato l’Ucraina (sulla infondatezza di tale avvertimento abbiamo già scritto).

Un segnale di distensione notevole che però non è stato accolto. Per tenere alta la tensione, gli Stati Uniti hanno comunicato di aver spostato la loro sede diplomatica da Kiev a Leopoli, aggiungendo di aver distrutto documenti e ripulito i computer, come in genere avviene per una fuga precipitosa (di chi avevano paura, degli ucraini, dato che a Kiev non ci sono russi?).

La drammatizzazione della crisi da parte degli Stati Uniti sta inquietando anche Kiev, che da usuale attore drammatico del confronto con Mosca è retrocesso a spettatore di una tragedia di cui rischia di diventare vittima, registrando fin da ora ingenti danni alla sua economia, che i venti di guerra hanno reso ancor più volatile.

Non solo il ritiro delle truppe, che il bellicoso segretario della Nato Jens Stoltenberg nega che sia avvenuto (qui filmati di carri armati russi caricati su un treno che lo documenta… è falso o Jens è poco informato?), ma anche le parole del ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, il quale ha detto che la Nato e gli Usa hanno “risposto positivamente ad alcune richieste russe che hanno respinto per anni. In particolare, ha fatto riferimento alla disponibilità del blocco a discutere per arrivare a un trattato sul controllo degli armamenti in Europa”.

In particolare “Il ministro ha ricordato che la Russia ha chiesto una moratoria sul dispiegamento di missili a corto e medio raggio in Europa, dopo la fine del Trattato INF con gli Stati Uniti nel 2019 (dopo il ritiro unilaterale di Washington da questo)”.

Così la sintesi di Sputnik, che riferisce anche le conclusioni del ministro russo: “Penso che, grazie agli sforzi profusi in tutte queste aree, si possa elaborare un ottimo accordo”. Parole ottimistiche, che precedono una nuova missiva russa in risposta alle proposte Usa inviate alcuni giorni fa.

Lo straordinario exploit del gas Usa

Oggi il Cancelliere tedesco Olaf Sholz è a Mosca, buon ultimo dopo Macron e gli inviati britannici, tentando di salvare il salvabile, perché la prima vittima di questo scontro è la Germania che sta vedendo collassare i suoi rapporti con la Russia, vitali per i suoi interessi.

Tra i tanti ponti che uniscono Mosca a Berlino, quello del North Stream 2, il quale rischia di essere smantellato appena ultimato. Sul gas europeo un interessante articolo del Wall Street Journal.

“Mentre la crisi ucraina suscitava preoccupazione per la dipendenza dell’Europa dal gas naturale russo, è successo qualcosa di straordinario. Il mese scorso, per la prima volta in assoluto, le esportazioni statunitensi di gas naturale liquefatto verso l’Europa hanno superato le consegne dei gasdotti russi. Le esportazioni russe, che normalmente rappresentano circa il 30% del consumo di gas in Europa, sono diminuite notevolmente a causa dei prezzi russi [causata della crisi ucraina ndr]. E con i prezzi del gas europei circa quattro volte più alti del normale, le esportazioni statunitensi sono aumentate per colmare il divario”.

La straordinaria crescita della produzione statunitense di petrolio e gas è una risorsa geopolitica ed economica per gli Stati Uniti che contribuisce alla sicurezza energetica globale. Mentre l’industria nazionale del petrolio e del gas continua a riprendersi dal crollo dei prezzi della primavera 2020 causato dall’inizio del Covid, gli Stati Uniti sono di nuovo il primo produttore mondiale di petrolio, quasi il 20% sopra gli altri due maggiori produttori, Arabia Saudita e Russia. e il primo produttore mondiale di gas naturale”.

Se si mette insieme questo tassello a quello relativo alla vendita di armi Usa all’Ucraina e ai Paesi dell’Est, che sta facendo eccitare i Big dell’industria degli armamenti (vedi Responsible statecraft), si capiscono cose.

Per dialogare occorre comprendere l’altro

Di interesse, a margine di questa nota, un articolo di Usama Butt su Haaretz, che spiega come dopo le invasioni subite dall’Occidente (Napoleone e nazisti, ma anche altre), e per prevenirne altre, “i russi hanno dovuto ricorrere alla creazione di una deterrenza artificiale: una solida ‘profondità strategica’. Il Patto di Varsavia era la profondità strategica più forte di cui la Russia avesse mai goduto. Nella storia recente il suo tentativo di entrare a far parte della NATO (in particolare negli anni ’90) è stato un altro passo in questa direzione”.

“Ma, ironia della sorte, l’Occidente ha scelto una strada diversa; negare alla Russia la profondità strategica di cui ha bisogno per sentirsi al sicuro”, sia con l’allargamento della Nato a Est sia, negli ultimi anni, con la “rivoluzione delle rose” in Georgia e il colpo di Stato di Maidan in Ucraina.  “Invece di comprendere la frustrazione russa e tentare il dialogo, l’Occidente ha continuato in quelle che la Russia considerava politiche ostili nel proprio cortile”.

“[…] Che ci piaccia o no; non siamo così ‘moderni’ come vorremmo pensare. Siamo ancora governati dalla paura e dagli aspetti fondamentali della geopolitica e della realpolitik. E la prima lezione di geopolitica è semplice: se hai intenzione di minare uno stato potente, aspettati rappresaglie. Gli Stati Uniti non hanno tollerato che Cuba avesse missili intercontinentali negli anni ’60 e non potrebbero tollerare che il Canada o il Messico si unissero al campo avverso”.

“[…] la lezione è molto semplice: la Russia richiede rispetto e riconoscimento. Questo è sicuramente un punto di partenza per un dialogo e una discussione significativi su questioni chiave. Come qualcuno che sa una o due cose sulle dinamiche dei processi di dialogo, una lezione è chiara. Il dialogo non può né avrà mai successo se non viene soddisfatto un requisito fondamentale e che può essere riassunto in una parola: ‘Capire'”.