Cuba: il regime-change, per ora fallito, dell'11 luglio
Tempo di lettura: 4 minutiLe manifestazioni di piazza che avevano incendiato Cuba si sono indebolite. Non che tutto sia tornato come prima, dato che resta un malcontento diffuso per la povertà generale e verso il governo, con isolate manifestazioni di rabbia conseguenti. Ma la fantasmagorica rivoluzione popolare, che avrebbe dovuto trascinare nella polvere il regime, resta per ora nella fantasia di certi ambiti.
Ciò vuol dire anzitutto che il movimento anti-governativo era meno forte di quanto martellassero i media, che hanno reso massivo un fenomeno relativamente contenuto.
La rivoluzione colorata caraibica
Mentre per le rivoluzioni colorate bielorusse o venezuelane si vedevano manifestazioni oceaniche, con oculate inquadrature dall’alto per inquadrare il fiume in piena degli oppositori, per Cuba abbiamo visto video con manifestanti distanti tra loro, a riempire gli spazi, e altrettanto oculate inquadrature dal basso, per far apparire fiumi dei semplici ruscelli.
Tanto che il ben informato El Pais, non certo un giornale castrista, nelle foto che corredavano i suoi articoli parlava di “centinaia di persone” coinvolte nelle proteste del’Avana, centinaia a San Antonio de los Baño etc.
Certo, centinaia qua, centinaia là fanno migliaia, quante migliaia è da vedere (due-tremila, diecimila?). Non si tratta di sminuire alcunché, ma di dar conto della realtà, che peraltro ha visto anche affollate manifestazioni di piazza a sostegno del governo.
L’Avana ha accusato gli Stati Uniti di fomentare la piazza, sfidando il Dipartimento di Stato a smentire di aver finanziato l’hashtag Sos Cuba, creato il 15 giugno scorso, in costanza del voto all’Onu per la revoca dell’embargo contro l’isola, seguito da un altro post virale, finanziato allo stesso modo, che chiedeva un “intervento umanitario” nell’isola, alla stregua di quanto avvenuto nell’ex Jugoslavia.
Cuba ha anche accusato le Big Tech di aver fomentato la rivolta inondando twitter di messaggi creati da robot e di aver falsato la geolocalizzazione di tali account, facendo credere che si trattasse di persone dell’isola mentre la maggior parte di questi tweet era generata altrove.
D’altronde, che i social abbiano giocato un ruolo in questa vicenda è ovvio, come denota il fatto che le proteste si sono fermate appena il governo ha staccato la spina di internet. E dal fatto che Biden stia soppesando un suo ripristino. Senza social le rivoluzioni colorate non si fanno.
Accuse usuali tra i duellanti d’Oltreoceano. D’altronde non è un mistero che la Florida ospiti una ricca comunità anti-castrista, corteggiata da entrambi i partiti-stato americani, né è un mistero l’avversione dei neocon per i comunisti caraibici, che non sono graditi come i comunisti del Pkk, intruppati nel Libero esercito siriano, alleato degli Usa, o i comunisti al potere in Vietnam, Paese verso il quale Washington ha tentato di deviare le aziende Usa che lavoravano in Cina (la diplomazia Usa ha un approccio alquanto diversificato verso il comunismo…).
Ma al di là, l’Avana ha avuto gioco facile nell’attribuire agli americani il disagio di cui soffre il popolo dell’isola, denunciando l’embargo Usa, che invece di essere allentato durante la pandemia è stato rafforzato, con certa oggettiva crudeltà: 50 le misure contro Cuba prese durante il Covid.
Va considerato poi che l’isola ha due entrate principali: il turismo, crollato col coronavirus, e le rimesse estere, che alcune leggi varate dall’amministrazione Trump hanno reso, di fatto, ormai impossibili, Da cui il crollo attuale.
Le colpe del governo cubano e i rischi della “spallata”
Ovvio che il governo dell’isola non è estraneo all’impoverimento generale, come ha denunciato anche un rivoluzionario della prima ora, poi critico del sistema ed esule negli Usa, Norberto Fuentes, in uno scritto in cui paventa che la crisi attuale possa far tornare Raúl Castro e porre i militari a commissariare Miguel Díaz-Canel, del quale denuncia l’inadeguatezza (dimostrata, peraltro, anche dall’imposizione di dazi su medicine e cibo spediti dall’estero, velocemente eliminati dopo le proteste).
Così per Cuba potrebbe ripetersi lo sviluppo visto per Hong Kong e la Bielorussia, dove le rivoluzioni colorate salutate come apportatrici di nuove libertà hanno avuto un esito totalmente diverso da quanto sperato dall’Occidente.
Peraltro, Biden, pur denunciando il fallimento del comunismo cubano, non sembra entusiasta di cavalcare le proteste, dato che tale evoluzione sta sgretolando la sua idea di ammorbidire le sanzioni contro l’isola.
Per quanto riguarda poi l’asserita repressione cubana, se pur vera negli arresti di molti attivisti, è ancora contenuta. Nulla a che vedere, ad esempio, con la repressione scatenata dal governo colombiano contro le proteste delle opposizioni degli scorsi mesi, che hanno lasciato sul campo oltre quaranta morti (Associated Press). Bogotà è alleata dell’America e la cosa non ha suscitato le proteste delle cancellerie d’Occidente…
Non si tratta di difendere il comunismo cubano, solo di mettere in conto che certe ingerenze possono avere risultati del tutto opposti ai propri desiderata, come allarma anche un articolo del National Interest, non certo un foglio castrista.
Basti pensare alla spallata, non riuscita, della Baia del porci, che portò i dirigenti cubani, prima diffidenti verso l’Urss, tra le braccia di Mosca, perché impossibilitati, come potrebbe accadere oggi, a far fronte alle pressioni esterne. Alleanza che di lì a poco portò alla crisi dei missili cubani, che per poco non sfociò in guerra nucleare. Il realismo in geopolitica è d’obbligo, l’idealismo, comunista o liberale che sia, rischia disastri.
Un allentamento delle tensioni Usa-Cuba può portare l’Avana a favorire certe politiche di riconciliazione Usa in America Latina (vedi NI), messe in agenda dall’attuale amministrazione, mentre un irrigidimento dei rapporti spingerebbe l’isola ad allacciare più stretti rapporti con Cina e Russia.
Ps. Le manifestazioni pro regime-change sono scoppiate, improvvise, l’11 luglio: ancora l’11 (ne abbiamo scritto in diverse altre mote). Potenza dei numeri e della numerologia.