Le dimissioni di Lieberman e l'ambasciatore Usa a Riad
Tempo di lettura: 3 minutiSi dimette il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman. Il Medio oriente entra in una nuova fase.
L’escalation di Gaza
La mossa di Lieberman è stata provocata dall’escalation di Gaza, che poteva portare a un nuovo intervento israeliano nella Striscia. Evitato perché Netanyahu ha tirato il freno, trovando un accordo con i palestinesi.
Decisione presa contro i suoi alleati di governo, che lo hanno criticato. Lieberman è andato oltre e si è dimesso.
Tutto inizia con un’inusuale iniziativa israeliana, che invia un commandos di élite nella Striscia per uccidere Nour Baraka, comandante delle Brigate al-Qassam, braccio armato di Hamas. La squadra riesce nell’intento, ma è scoperta.
L’esfiltrazione è ardua: nonostante il fuoco di copertura, un alto ufficiale israeliano resta sul campo. Un disastro militare per Israele, che peraltro subisce un attacco missilistico in risposta all’assassinio.
I missili sparati da Gaza uccidono un israeliano, per sorte un imprenditore palestinese, e ne feriscono altri. Dei quattrocento missili lanciati solo cento vengono intercettati, altra defaillance della sicurezza israeliana.
Netanyahu spiazzato
Ciò avviene mentre Netanyahu è a Parigi, dove finalmente incontra Putin, dopo mesi di gelo seguiti all’abbattimento di un aereo russo in Siria causato, per Mosca, dall’aviazione di Tel Aviv.
Difficile che il premier israeliano sperasse che Putin desse luce verde alla prosecuzione dei raid israeliani in Siria, come da richiesta Usa (se la Russia ha dato gli S-300 a Damasco non è certo per farli distruggere).
Ma a Nenatyahu bastava che il colloquio si tenesse, dal momento che non può permettersi un’assenza di interlocuzione con una delle tre potenze globali.
Successo a metà, dunque, quello del premier israeliano, che proprio mentre cerca di gestirne la comunicazione, deve precipitarsi a Tel Aviv a causa della fiammata di Gaza.
Lieberman e le elezioni israeliane
Si è detto che Netanyahu era restio a un intervento a Gaza, che avrebbe distolto risorse che vuole concentrate in chiave anti-iraniana (ossessione sua e dei neocon).
E avrebbe fatto infuriare le masse arabe, mettendo a rischio l’asse anti-Teheran che sta costruendo attraverso nuovi legami con i Paesi del Golfo.
Lieberman lo accusa di debolezza e chiede nuove elezioni, dove potrà presentarsi come garante della sicurezza.
In tal modo ha anche anticipato l’altro superfalco, Naftali Bennet, costretto a rincorrere (ha chiesto di sostituire Lieberman o toglierà anche lui l’appoggio al governo, decretandone la sicura fine).
I leader della “destra hanno sentito l’odore del sangue di Netanyahu”, commenta Haaretz accennando anche ai guai giudiziari del premier, e hanno iniziato le grandi manovre per prenderne il posto.
La difficoltà di Netanyahu palesa che non è stato lui a ordinare il blitz a Gaza che ha originato il caos.
La variabile saudita
Il premier israeliano deve gestire altre criticità, non meno gravi, provocate dalla improntitudine di Mohamed bin Salman – alle prese con le accuse per l’assassinio di Jamal Khasohggi – sul quale punta per ridisegnare il Medio oriente.
La sua richiesta agli Usa di sostenere il principe ereditario saudita, seppure accolta dal consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, sta suscitando reazioni.
Riassunte dall’editorialista del Washington Post, il giornale per il quale lavorava il dissidente saudita ucciso in Turchia: la difesa di MbS sta “facendo infuriare” i membri del partito democratico, allontanandoli ancor di più da Israele.
La controversia saudita è rovente, tanto che Trump ha nominato l’ambasciatore Usa a Riad, dopo due anni di assenza (che hanno favorito il filo diretto tra MbS e il genero presidenziale Jared Kushner).
Il designato è John Abizaid, un generale della filiera realista Kissinger-Mattis, opposta ai neocon. Al monitor ricorda come egli abbia affermato che “ci sono modi per vivere con un Iran nucleare”, come avvenne con l’Urss.
Variabile nuova, che sembra indicare che Trump voglia smarcarsi dai neocon per tentare un confronto meno apocalittico con Teheran.