17 Maggio 2018

Gli ebrei che condannano la strage di Gaza

Gli ebrei che condannano la strage di Gaza
Tempo di lettura: 3 minuti

La mattanza di Gaza continua a suscitare critiche verso il governo israeliano e Donald Trump, il quale, spostando l’ambasciata Usa a Gerusalemme, ha gettato altra benzina sul conflitto israelo-palestinese.

Strage di Gaza: la condanna di esponenti della comunità ebraica italiana

Il governo israeliano si difende accusando Hamas, che avrebbe condotto al massacro i civili.

Sul punto riportiamo la lettera aperta di autorevoli esponenti dell’ebraismo italiano pubblicata ieri sulla Repubblica.

Pur censurando la “retorica” di Hamas e il suo rigetto dello Stato israeliano, i firmatari della missiva affermano: “Non possiamo tacere di fronte all’uso sproporzionato della forza da parte di Israele”.

“L’uso di armi da fuoco contro civili è ammissibile soltanto se detti civili partecipano direttamente ad azioni ostili, non se varcano e cercano di superare la frontiera israeliana. Vi sono mezzi non letali per contenere e disperdere proteste anche di massa”.

Strage di Gaza: la condanna di esponenti della comunità ebraica Usa

Su Haaretz, Allison Kaplan Sommer riporta invece lo sgomento della comunità ebraica americana: “Gli ebrei statunitensi inorriditi piangono le morti di Gaza”, così nel sottotitolo.

L’articolo riporta dichiarazioni di autorevoli esponenti della comunità ebraica americana, ma anche tweet meno autorevoli e altrettanto significativi di gente comune, ebrei che hanno provato “sentimenti di vergogna per gli eventi a Gerusalemme e Gaza”.

“Un tipico tweet”, scrive la Sommer, “è arrivato da Christina Duval, che ha scritto: ‘Sono molto orgogliosa di essere ebrea, ma mi vergogno di quello che succede in Israele. Dopo tutto quello che il nostro popolo ha sofferto, penseresti che siamo portati ad apprezzare molto più le vite umane'”. Un riferimento all’Olocausto che tocca corde profonde e irrevocabili.

Strage di Gaza e non solo…

Riportiamo, infine, spunti interessanti contenuti in un articolo di Khaled Diab, giornalista e scrittore arabo, pubblicato sul Corriere della Sera di ieri.

Diab ridicolizza la portata dello spostamento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme. Una decisione salutata come storica dal governo israeliano, che in realtà è un puro gioco di prestigio, un trucco da illusionisti.

Infatti, scrive Diab, “Donald Trump si è limitato a far installare una nuova targa con sopra scritto ‘ambasciata’ al consolato americano di Arnona, a Gerusalemme Ovest”.

Quanto alla storia: “Gli Usa hanno riconosciuto ufficialmente Gerusalemme come capitale di Israele da un quarto di secolo, dal Jerusalem Embassy act“.

Insomma, tanto sangue per un illusionismo. Detto questo, Diab ricorda che non è sotto Trump che Israele si è annessa “la città vecchia di Gerusalemme”, e gran parte “della Cisgiordania, per farne la propria capitale”.

“Né la costruzione degli insediamenti, né quella del muro, né la demolizione delle case dei palestinesi e l’espulsione dei suoi abitanti da Gerusalemme Est sono iniziati sotto gli occhi di Trump”.

Quindi Diab spiega che le proteste di lunedì “avevano come obiettivo il blocco israeliano di Gaza e le indicibili sofferenze da esso causate alla popolazione palestinese. Ed è questo massacro di manifestanti e l’incarcerazione di un intero popolo che dovrebbero essere oggetto della nostra indignazione”.

In effetti, limitarsi a condannare il massacro e a criticare la nuova dislocazione dell’ambasciata Usa è riduttivo. Il problema è tragicamente più ampio.

Il Sudafrica ritira l’ambasciatore

Dopo quanto avvenuto a Gaza, il Sudafrica ha ritirato il proprio ambasciatore da Israele. Mossa poco rilevante, ma anche no.

Va considerato che molti esponenti della comunità ebraica sono più che critici riguardo l’idea, oggi vincente, di “un solo Stato”, che includa ebrei e palestinesi.

Un progetto che porta con sé la necessità di un regime di apartheid, indispensabile per salvaguardare l’identità ebraica di Israele (vedi Grossman).

Il fatto che a ritirare la propria delegazione diplomatica da Tel Aviv sia stato il Paese che più ha sofferto per tale regime, assume, in questa ottica, un significato alto e simbolico.