L'eccezionalismo americano è diventato un'arma
“Mentre ci avviciniamo al 20° anniversario degli attacchi dell’11 settembre, vale la pena chiedersi cosa sarebbe successo se gli Stati Uniti avessero agito in modo radicale e fantasioso, evitando il sopravvento imperiale. E se invece di lanciare una Guerra al Terrore, il più grande disastro strategico nella storia moderna degli Stati Uniti, i leader statunitensi avessero usato l’11 settembre come catalizzatore per creare un mondo più tollerante, pacifico e prospero, l’antitesi di al-Qaeda?”. Così scrive Fawaz A. Gerges, professore di relazioni Internazionali alla London School of Economics sul Washington Post di due giorni fa.
L’Afghanistan inaugurò la stagione della guerra al Terrore, diventata guerra infinita con l’attacco all’Iraq, perché Saddam non era un terrorista, ma un despota (peraltro in ottimi rapporti con la Cia), una declinazione che aggiungeva alla guerra imperiale una prospettiva temporale inquietante.
La guerra afghana, scrive Gerges, lungi dall’aver annientato o indebolito i gruppi terroristici islamici, ha creato all’opposto un terreno fertile perché proliferassero. Non solo, dichiarando guerra ad un intero paese islamico, gli Stati Uniti hanno creato i presupposti per la Jihad, la guerra santa contro gli infedeli, e hanno aiutato al- Qaeda a uscire dalla profonda crisi che affliggeva il gruppo terroristico verso la fine degli anni ’90.
La guerra afghana e le altre imprese di questi anni hanno dato armi e milizie al Terrore, basti pensare che i membri di al- Qaeda, poche migliaia nel 2001, contano oggi tra i 100 mila e i 230 mila combattenti in tutto il mondo.
“l”industria del terrorismo‘ nata sulla scia degli attacchi” dell’11 settembre, spiega Gerges ha “fatto dilagare la paura e distorto la realtà”., dissipando quel tesoro accumulato grazie alla solidarietà internazionale che, dopo gli attentati, aveva stretto tutto il mondo attorno agli Usa.
Un flusso di solidarietà al quale si era unito anche l’Iran, nonostante decenni di embargo, e quel messaggio di partecipato dolore è stato “il primo contatto ufficiale diretto tra i due paesi dalla rivoluzione iraniana del 1979”.
Invece di rispondere a quegli attacchi partendo da quella unanime solidarietà, scrive Gerges, gli Stati Uniti hanno scelto la guerra, “sprecando l’opportunità di lavorare insieme ad altre nazioni”, anche e soprattutto quelle musulmane, “per rimediare ai danni delle politiche della Guerra Fredda che hanno contribuito a far emergere di al-Qaeda” (il riferimento puntuale è al supporto Usa ai mujaheddin afghani che lottavano contro l’invasore sovietico, che pose le basi per la creazione al Qaeda).
Continua Gerges: “In qualità di nazione più potente del mondo, gli Stati Uniti devono resistere alla tentazione di sparare prima e fare domande dopo. Questa è stata la ricetta per il disastro in Vietnam, Iraq, Afghanistan e altrove. I leader statunitensi, in politica estera , devono liberarsi dell’impulso da crociati e dal complesso di superiorità morale che ha fatto più male che bene alla nazione. Invece, dovrebbero riconoscere i limiti insiti nell’imbracciare le armi e mostrare umiltà, prudenza e rispetto per le altre culture”.
“Tragicamente, l’idea dell’eccezionalismo americano è stata trasformata in un’arma, trasformando così gli Stati Uniti in un impero al collasso. Iraq e Afghanistan sono solo gli ultimi esempi di questa hubrys”.
“[…] Invece di cercare di provare a rendere altri paesi a immagine degli Stati Uniti, Washington, insieme alla comunità internazionale, dovrebbe investire nella ricostruzione degli Stati falliti, nell’eliminazione della povertà assoluta e nella lotta all’estremismo. I leader statunitensi devono anche colmare il divario esistente tra la loro rosea retorica sui diritti umani e la democrazia e le loro azioni, che sono viste come ciniche ed egoistiche in molte parti del mondo”.
“[…] Il presidente Biden e il suo team insistono sul fatto che la politica estera degli Stati Uniti dovrebbe riflettere gli interessi e le preoccupazioni della classe media – Conclude Gerges – Ma c’è un compito più urgente, che è quello di democratizzare la politica estera degli Stati Uniti e renderla più inclusiva, anziché essere dominata da un’élite ristretta e omogenea, che, più e più volte, ha coinvolto la nazione in avventure militari in terre lontane”. .
“Lo dobbiamo ai quasi 3.000 americani uccisi l’11 settembre, come anche ai molti soldati statunitensi e ai tanti civili, iracheni e afgani, morti in guerre che non avrebbero dovuto essere combattute”.