5 Settembre 2020

Elezioni Usa: il Washington Post e il golpe nel cuore dell'Impero

Elezioni Usa: il Washington Post e il golpe nel cuore dell'Impero
Tempo di lettura: 3 minuti

Giochi di guerra per le elezioni Usa. Strano articolo quello che pubblica il Washington Post, che cerca di anticipare cosa accadrà in America il giorno delle elezioni.

A tale scopo, il WP ha realizzato “una serie di giochi di guerra” ai quali hanno partecipato “alcuni dei più affermati esponenti repubblicani, democratici, funzionari pubblici, esperti di media, sondaggisti e strateghi”.

Gli scenari previsti si possono sintetizzare in tre casi. Una vittoria schiacciante di Joe Biden. Una vittoria di misura di Trump, come quella del 2016, quando vinse grazie alla frammentazione del voto Usa, dove “pesa” il voto dei vari Stati e non quello complessivo (la Clinton ebbe più voti in ambito nazionale, ma perse negli Stati “chiave”).

Infine, uno scenario incerto, dato che è probabile che “la notte delle elezioni non ci sarà un chiaro vincitore, perché un conteggio accurato potrebbe richiedere settimane, dato il gran numero di schede per posta previste in questa […] elezione pandemica“.

Di elezioni e giochi di guerra

Nella simulazione, “una valanga [di voti, ndr.] a favore di Joe Biden provocherebbe un trasferimento di potere relativamente ordinato. Ogni altro scenario esaminato innescherebbe violenza urbana e crisi politica”.

Così che lo scenario, alla fine, è duale: o stravince Biden oppure è l’abisso. Interessante che le persone che hanno dato vita a questi giochi di guerra identificati nell’articolo siano tutti anti-Trump, non solo per i democratici, la cui squadra è stata guidata da John Podesta, potente braccio destro della Cinton, ma anche nel campo repubblicano, con il giornalista ingaggiato Bill Kristol e il fiero critico della Casa Bianca Michael Steele, già presidente del Gop.

Non stupisce dunque, che negli scenari previsti Trump faccia la parte del cattivo, che incita alla violenza e ordina repressioni, mentre i suoi oppositori siano buoni e fieri alfieri delle libertà democratiche.

L’infarto di Biden

Ma al di là dell’aspetto farsesco, resta, appunto, l’identificazione di tale simulazione come un “gioco di guerra”, cosa alquanto singolare per un’elezione politica.

E per l’incipit dell’articolo, nel quale si profila l’ipotesi che il giorno delle elezioni i media diffondano la notizia che Biden ha avuto un infarto e per questo sono ritardate le elezioni (con caos conseguente).

Scenario inquietante quanto improbabile, che i media, spiega l’articolo, non potrebbero contrastare, lasciando gli elettori democratici a casa…

Bizzarro davvero, dato che, come sa perfettamente la scrivente e quanti seguono queste elezioni, tutti i media mainstream, compreso il suo, sono avversi a Trump: perché dovrebbero pubblicare tale fake? E perché non avrebbero tempo e modo di sbugiardarla?

In realtà, la profezia inquieta per motivi opposti, cioè per il fatto stesso di averla ipotizzata, anzi di averle dedicato l’inizio dello strano articolo, con esito scioccante.

Dopo le elezioni, il caos

Ma al di là, quel si propone tale gioco di guerra è di anticipare in via profetica che il giorno delle elezioni negli Stati Uniti scoppierà il caos, dato che ad oggi la vittoria a valanga di Biden, possibile un mese fa, è smentita dai sondaggi (da leggere sempre con le cautele del caso).

Da qui il miraggio elettorale, già profetizzato dall’Agenzia che sta curando la campagna elettorale digitale dei democratici.

Un miraggio che vede Trump vincente al conteggio dei voti delle urne, ma con ribaltamento nel voto postale, che un enigmatico mistero assegna di diritto e senza ombra di dubbio totalmente ai democratici (altra profezia ad alta possibilità di auto-avveramento).

L’Impero ridotto a Repubblica delle banane

Tanto di bizzarro in tutto questo, come anche i consigli che l’articolo dispensa a funzionari pubblici, militari, uomini delle istituzioni per affrontare la tempesta in arrivo.

E inquieta soprattutto la conclusione dell’articolo, nella quale si legge: “Quando le persone si uniscono per chiedere democrazia e Stato di diritto, anche i regimi repressivi possono essere fermati”.

“La mobilitazione di massa non è una garanzia che la nostra democrazia sopravviverà, ma se le cose andranno male come suggeriscono le nostre simulazioni, un movimento di protesta sostenuto e non violento potrebbe essere la migliore e ultima speranza dell’America”.

Un cenno che rimanda alle varie rivoluzioni colorate sostenute dagli Stati Uniti in giro per il mondo, ultima delle quali in Bielorussia, che hanno proprio nel momento del verdetto delle urne il loro catalizzatore iniziale.

Un esito non congruo alle aspettative scatena proteste di piazza, con tensioni conseguenti e crescenti, a volte con derive sanguinarie, fino alla estromissione del tiranno.

Di golpe in golpe

Non si tratta di denunciare possibili brogli, problematica endemica delle elezioni, dalla Bielorussia agli Usa (vedi Heritage Foundation), o un gioco elettorale sporco, anch’esso endemico.

Quel che si sta profilando è la possibilità di un colpo di Stato, destino finora circoscritto alle Repubbliche delle banane e ai Paesi “non allineati”.

Golpe che potrebbe darsi sia sotto la pressione di una spinta eversiva, sia attraverso uno stallo ferocemente conflittuale talmente insostenibile da doversi chiudere in qualche modo (il mondo non può permettersi una destabilizzazione nel cuore dell’Impero).

Sarebbe il secondo colpo di Stato negli Usa dopo quello del post 11 settembre, quando, sull’onda dell’emergenza, i neoconservatori presero quasi tutto il potere dell’Impero nelle loro mani. Il precedente non portò bene al mondo e proietta cupe ombre sul futuro.