Erdogan non ha più la maggioranza assoluta in Parlamento
Tempo di lettura: 2 minuti«Con questo voto hanno vinto coloro che stanno dalla parte della giustizia, della libertà, della pace e dell’indipendenza. Curdi, armeni, turchi, alawiti, sunniti, cristiani, hanno vinto tutti coloro che si sono sentiti esclusi»
. Queste le dichiarazioni di Selathttin Demirtas, riportate sulla Repubblica dell’8 giugno da Marco Ansaldo, all’indomani delle elezioni politiche in Turchia, che hanno visto la prima sconfitta di Recep Tayyp Erdogan dopo 13 anni di dominio incontrastato.
Grazie all’exploit di Demirtas, ma anche per la tenuta degli altri partiti di opposizione, Erdogan ha perso più del 10% dei voti, attestandosi al 40% dei suffragi. Per la prima volta non ha la maggioranza assoluta al Parlamento: dovrà cercare un alleato per governare, producendosi in un esercizio di mediazione finora poco praticato, o riportare il Paese alle urne.
Sulla Stampa dello stesso giorno, Maurizio Molinari spiega che questo voto è stato anche un vulnus per il sogno neo-ottomano inseguito da Erdogan. Quel sogno che aveva portato la Turchia a sostenere le varie formazioni legate ai Fratelli musulmani nel mondo arabo, dal Marocco all’Egitto, e al Qaeda in Siria (in funzione anti-Assad). Commenta Molinari: «Questo edificio neo-ottomano – fondato su ideologia islamista, un esercito formidabile e ingenti risorse – si è basato sulla percezione dell’invincibilità del Sultano, che ora viene meno.
Ciò significa che alleati più o meno vassalli di Erdogan […] percepiscono la vulnerabilità del protettore e cercheranno nuovi riferimenti. È un processo destinato a scompaginare lo schieramento islamista sunnita filo-turco. Saranno le prossime settimane a suggerire se le potenze regionali rivali riusciranno a fare veloci acquisti fra i vulnerabili alleati del Sultano indebolito. O se Erdogan sceglierà di alzare il tiro e riaffermare con autorità l’obiettivo neo-ottomano al fine di riguadagnare terreno in patria».
Nota a margine. Lo scenario suggerito da Molinari, di fatto, indica che il voto turco non attutirà i conflitti del mondo arabo, stante che per certe organizzazioni jihadiste si tratta solo di cambiare sponsor. Rilievi che hanno fondamento. E però l’ingresso nel Parlamento di Ankara di forze dichiaratamente contrarie alla guerra, nel caso specifico quella contro Assad, della quale Erdogan è sostenitore instancabile (di fatto al Nusra, ovvero al Qaeda in Siria, e Isis possono contare sul beneplacito di Ankara per armi, volontari e finanziamenti), non può che essere salutato con qualche accennato sollievo da quanti sperano un’attenuazione delle tensioni regionali.
Ancora più a margine, un fatto alquanto singolare, ma che merita una piccola segnalazione: Demirtas, nella sua difesa delle minoranze più deboli, si è detto difensore dei diritti dei cristiani e di quelli dei gay. Strana associazione vista dall’Occidente, ma naturale in quell’angolo di mondo dove ambedue queste realtà sociali, nel loro ambito, chiedono maggiori spazi di libertà. Piccola dimostrazione di come la teoria della relatività possa applicarsi anche alla politica, anche riguardo temi apparentemente così poco “malleabili”.