Le Filippine virano verso la Cina
Tempo di lettura: 3 minutiLa visita nelle Filippine di Xi Jinping apre una nuova pagina della geopolitica contemporanea. Perché l’incontro di Manila con il suo omologo Rodrigo Duterte di fatto sancisce la fine dell’influenza (decisiva) degli Stati Uniti sulle Filippine e l’inizio di un rapporto più profondo tra tale Paese e la Cina.
La Dichiarazione congiunta
Non una cosa da poco, dato che Manila, da quando perse la guerra filippino-americana degli inizi del novecento, è divenuta una colonia statunitense per poi evolvere, nel dopoguerra, in una sorta di Repubblica delle banane in salsa orientale, con governi e presidenti graditi più a Washington che ai suoi cittadini.
L’allontanamento di Manila dall’orbita americana è reso evidente dalla Dichiarazione congiunta dei due presidenti (Xinhua), che prevede una serie di iniziative volte a consolidare i legami politico-commerciali già in essere tra i due Paesi, declinazione in ambito filippino della Via della Seta cinese.
Non si tratta di una svolta repentina, dal momento che il nuovo presidente delle Filippine, pur se rozzo cowboy prestato alla politica, sta da tempo perseguendo questa nuova prospettiva, suscitando malcontento a Washington.
Una prospettiva che nell’ultimo vertice dell’Asean (Piccolenote) aveva visto Duterte fare da pontiere fra il Dragone e i Paesi asiatici che diffidano del crescente espansionismo cinese nel continente e, in particolare, della sua assertività riguardo il Mar cinese meridionale.
Le Filippine e la sentenza dell’Onu
Proprio su tale scacchiera il vertice di Manila ha segnato una svolta non indifferente. Erano state proprio le Filippine a denunciare alle Nazioni Unite le pretese e le manovre cinesi su quell’angolo di oceano Pacifico.
La denuncia ha avuto come esito la condanna delle iniziative di Pechino, dichiarate contrarie alle norme che regolano i mari nazionali e le acque internazionali.
Tanti analisti avevano visto in tale sentenza un fattore ostativo non irrilevante all’espansionismo cinese in quel tratto di mare, che Pechino vede come proiezione naturale del suo sviluppo continentale e globale.
La dichiarazione congiunta di Xi e Duterte pone fine a quella contesa, di fatto azzerando il valore della sentenza relativamente alle controversie con Manila: i due Paesi hanno concordato di istituire organismi comuni per vigilare affinché non sorgano conflittualità su quelle acque.
Ciò ha grande valore, in particolare, per le prospezioni e lo sfruttamento delle risorse energetiche celate in quegli abissi, delle quali il Dragone ha grande necessità per il suo sviluppo e che sono causa primaria delle controversie riguardanti quel mare.
Ciò detto, restano le controversie con gli altri Paesi che reclamano quelle acque e quei giacimenti, ma il fatto che Pechino e Manila abbiano concordato di promuovere insieme ambiti di dialogo che risolvano tali tensioni fa segnare al Dragone un altro punto a favore.
La Dichiarazione congiunta è dunque una buona notizia per Pechino, che dilata in tal modo il suo ambito di influenza in un’area strategica per la sua proiezione globale, sia sotto il profilo commerciale che della sua sicurezza.
Ma lo è anche per quanti sperano in un affievolimento delle conflittualità internazionali, che quel tratto di oceano produce a ritmo sostenuto, con rischi per la pace mondiale.
Ps. L’opposizione ha chiesto a Duterte di rivelare i dettagli dell’accordo con la Cina sullo sfruttamento delle risorse energetiche del Mar cinese meridionale. Accordi che potrebbero violare le leggi che regolano le acque internazionali in favore di Pechino. Cenno che fa intravedere ostacoli di percorso per il presidente filippino.