La Finanza sapeva dell'attacco del 7 ottobre.
“Uno studio condotto da ricercatori della New York University e della Columbia University sostiene che i trader hanno ottenuto informazioni sull’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre, prima che avvenisse, e hanno realizzato operazioni short sulle borse degli Stati Uniti e d’Israele nella prospettiva che i prezzi delle azioni crollassero dopo l’attacco”. Così il sito Globes.. In pratica alcuni operatori americani e israeliani hanno scommesso sul fatto che il prezzo di alcuni titoli sarebbe crollato dopo il 7 ottobre, cosa avvenuta.
Nella Finanza si sapeva…
“I ricercatori affermano di aver identificato significative vendite allo scoperto prima dell’attacco di decine di società quotate nella Borsa di Tel Aviv. Dallo studio emerge che tra il 14 settembre e il 5 ottobre sono state realizzate acquisizioni short pari a 4,43 milioni di azioni della Banca Leumi”.
“Dopo l’attacco di Hamas, gli stessi hanno goduto di profitti pari a 3,2 miliardi di shekel. I ricercatori scrivono di non aver notato un aumento cumulativo di acquisizioni short su azioni di società israeliane scambiate sulle borse statunitensi, ma hanno identificato un forte e insolito aumento nella negoziazione di opzioni su tali azioni con date di scadenza poco dopo il 7 ottobre”. Possibile, peraltro, che lo studio abbia rivelato solo la punta dell’iceberg nell’insondabile mare magnum della grande finanza.
Nulla di nuovo sotto il sole: anche in costanza dell’attacco dell’11 settembre si erano registrate operazioni anomale in Borsa, che avevano permesso a tanti di lucrare su quanto poi sarebbe avvenuto. Quando la speculazione fu rivelata George W. Bush promise solennemente che gli Stati Uniti avrebbero aperto un’inchiesta, ma non se ne è fatto nulla. Troppi gli interessi in gioco e troppo potenti gli speculatori, che evidentemente sapevano in anticipo quanto sarebbe avvenuto. Dovrebbe meravigliare, ma neanche troppo…
Il mistero di quanto avvenuto quell’11 settembre, come quello che avvolge l’attacco del 7 ottobre, è destinato a restare tale. Per quanto riguarda quest’ultimo, restano le opposte narrazioni pubbliche: l’attacco proditorio denunciato da Israele e la grande operazione della resistenza dall’altra. Mentre, a quanto pare, ad alto livello tanti sapevano e hanno lasciato fare, anche nella Sicurezza israeliana.
La sparizione delle registrazioni video e audio
Ai questi misteri dolorosi si aggiunge la sparizione dei filmati dalle telecamere di sicurezza poste da Israele al confine con Gaza.
Il sito israeliano Walla ha riferito che “una mano invisibile” ha cancellato tutto quanto era rimasto impresso nella “rete militare denominata Zee Tube”. A scoprirlo un funzionario di alto livello dello Stato Maggiore incaricato di investigare sul caso che, giunto sul luogo del delitto, è il caso di dirlo, ha trovato tutto cancellato.
“Funzionari della Divisione di Gaza – prosegue Walla – hanno affermato che c’è stata anche una ‘cancellazione’ delle registrazioni delle comunicazioni del 7 ottobre”. Le registrazioni potrebbero esser state trasferite altrove o cancellate, non si sa. Due le spiegazioni: la prima, più piana, è che si voglia nascondere la palese inefficienza della Sicurezza di quel giorno; la seconda è che si voglia celare altro e più inconfessabile (o forse un mix di ambedue).
A pensar male si fa peccato, ma a volte si indovina. Ha colpito non poco la reazione durissima della Difesa israeliana alla rivelazione di Haaretz sull’elicottero militare che, nell’intento di colpire i miliziani di Hamas, avrebbe sparato contro i civili convenuti al rave.
Rivelazione che aveva rilanciato le domande poste da Max Blumenthal sulla reazione dell’esercito israeliano all’attacco, che sarebbe stata confusa e non selettiva sui bersagli, tanto da aumentare le vittime civili (la rivelazione di Haaretz, va puntualizzato, è stata poi negata dalle autorità).
La variabile Netanyahu
Al di là del particolare, resta la nuova fiammata della guerra di Gaza dopo la fine della tregua. I negoziati in Qatar, proseguiti nonostante la ripresa del conflitto, sono ormai collassati. Hamas e Tel Aviv si rimpallano e responsabilità.
Secondo Alastair Croocke gli Stati Uniti puntavano a una tregua prolungata che fosse prodromica a un cessate il fuoco permanente, perché con il passar del tempo sarebbe stato può arduo riaprire le ostilità.
Ma le autorità israeliane volevano a tutti i costi la guerra, forti anche di un consenso del 90% dei loro cittadini sulla necessità di eliminare Hamas. Dissensi anche sulla durata della guerra, con Blinken che avrebbe dato a Netanyahu alcune settimane per chiuderla, mentre il premier israeliano ribadiva la sua volontà di proseguire per mesi.
Sempre Crooke spiega che Netanyahu sta tentando – anzi sarebbe riuscito – di rimodellare la narrazione della guerra: non più una risposta all’attacco, ma una lotta esistenziale che porti a compimento la lotta di liberazione di Israele, una “Seconda guerra d’indipendenza”, che riprendeva quella del ’48.
Narrazione che, peraltro, unisce le aspirazioni alla Grande Israele del messianismo ebraico con il nazionalismo di certo sionismo laico. Prospettiva massimalista, dunque, che ben si attaglia a una guerra prolungata che dovrebbe permettere la sopravvivenza politica di Netanyahu (che però oggi è stato richiamato alla sbarra: il processo per corruzione potrebbe ripartire…).
Eliminare Hamas?
Ad allungare i tempi l’intento dichiarato di eliminare completamente Hamas, che, come scriveva Thomas Friedman sul New York Times del 1 dicembre, è “un obiettivo irraggiungibile”.
Non solo Netanyahu fa orecchie da mercante sull’obiettivo, ma anche sulle modalità dell’operazione. Se la Casa Bianca chiede moderazione (per evitare rotture con i Paesi arabi), la campagna nel Sud da Gaza procede con la stessa modalità alzo zero che ha contraddistinto quella a Nord.
Lo ha dichiarato apertamente il Capo di Stato Maggiore israeliano, secondo il quale la nuova campagna “non sarà meno potente” della precedente (Timesofisrael). Lo dicono anche i numeri: oltre 700 le vittime registrate alla sera di domenica, solo 24 ore dopo la ripresa dei combattimenti (al Jazeera).
La fabbrica di obiettivi
Il numero sproporzionato di vittime civili che sarebbe dovuto anche all’uso (spregiudicato) dell’intelligenza artificiale. A supportare le operazioni, un sistema AI chiamato Habsora, Vangelo (sic), che ha permesso all’Israel defence force di accelerare “significativamente le operazioni”, producendo una lista di obiettivi da colpire. Una vera e propria “fabbrica” di obiettivi (Guardian).
A rivelare il retroscena l’inchiesta di due media (+972, Magazine israelo-palestinese, e Local Call, testata in lingua ebraica) basata su informazioni provenienti dall’intelligence e dall’aeronautica israeliana, fonti palestinesi e fonti aperte.
In estrema sintesi, al sistema sono stati forniti tutti i dati raccolti dall’intelligence israeliana su Gaza, della quale essa sa tutto, compresi i componenti dei nuclei familiari di ogni singolo appartamento; e, insieme, tutte le informazioni raccolte nel tempo su Hamas: i singoli militanti, le loro case, i loro parenti, i luoghi nei quali si tengono o si sono tenute riunioni etc.
L’intelligenza artificiale fornisce quindi l’analisi dei cosiddetti danni collaterali, leggi morti civili, che verrebbero provocati da un attacco a un obiettivo, vero o presunto che sia (la casa di un militante, ad esempio è un possibile obiettivo). “Tale numero [dei danni collaterali ndr] viene calcolato ed è noto in anticipo ai servizi segreti dell’esercito, che sanno anche, poco prima dell’attacco, quanti civili verranno sicuramente uccisi”, si legge su +972.
Così riporta il sito: “Niente accade per caso”, ha detto un’altra fonte. “Quando una bambina di 3 anni viene uccisa in una casa a Gaza, è perché qualcuno nell’esercito ha deciso che non era un grosso problema ucciderla – che cioè era un prezzo che valeva la pena pagare per colpire [un altro] bersaglio. Non siamo Hamas. Questi non sono razzi casuali. Tutto è intenzionale. Sappiamo esattamente quanti ‘danni collaterali’ ci sono in ogni casa”. Ci fermiamo qui, perché crediamo che basti.
Gli aiuti dell’Occidente
Il dramma è che l’Occidente, benché a parole protesti contro l’approccio bellico di Israele – ultimo Macron, il quale ha affermato che l’obiettivo di eliminare Hamas farà durare la guerra un decennio – non fa molto per opporsi. Anzi l’America, dal 7 ottobre, ha fornito a Tel Aviv “15.000 bombe, di cui oltre 5.000 con testate da 2.000 libbre”, quelle che buttano giù interi palazzi (Wall Street Journal).
Non solo. Il sito Declassified Uk, in base a documenti top secret, ha rivelato che “le risorse per lo spionaggio della Cipro britannica sono integrate con la ‘pianificazione e le operazioni militari’ – e l’intelligence probabilmente viene passata a Israele come ausilio al bombardamento di Gaza”. Peraltro, droni britannici e statunitensi sorvolano quotidianamente Gaza, non certo per riprese panoramiche.
Questa guerra, se guerra si può chiamare la mattanza in corso, sta trascinando l’Occidente in un abisso sempre più oscuro.