Foreign Affairs: Washington necessita di un endgame in Ucraina
Tempo di lettura: 4 minutiDall’inizio della guerra ucraina, gli Stati Uniti si sono limitati a supportare l’Ucraina, aggiungendo che di certo la guerra finirà con un negoziato, ma tale finale di partita era ed è rimasto nebuloso. “Questo approccio aveva senso nei primi mesi del conflitto”, scrive Samuel Charap su Foreign Affairs, ora non più.
Infatti, secondo Charap,”è giunto il momento che gli Stati Uniti sviluppino una visione su come finirà la guerra” perché “i quindici mesi di combattimenti hanno chiarito che nessuna delle due parti ha la capacità, anche con l’aiuto esterno, di ottenere una vittoria militare decisiva sull’altra”.
Facilitare l’endgame
Da qui l’ineluttabilità dei negoziati. Gli Stati Uniti “potrebbero iniziare a cercare di condurre la guerra verso una fine negoziata nei prossimi mesi, oppure possono aspettare anni. Se decidono di attendere, i fondamenti del conflitto saranno probabilmente gli stessi, ma i costi della guerra – umani, finanziari e di altro tipo – si saranno moltiplicati. Una strategia efficace per quella che è diventata la crisi internazionale più significativa di questa generazione richiede agli Stati Uniti e ai suoi alleati di spostare la loro attenzione su come iniziare a facilitare un endgame“.
Ciò perché più dura il conflitto, più alti sono i rischi. Infatti, “un conflitto prolungato conserverebbe il rischio di una possibile escalation – o verso l’uso del nucleare da parte dei russi o verso una guerra NATO-Russia – all’attuale alto livello. Dal momento che l’Ucraina continuerebbe a godere di un supporto vitale, economico e militare, quasi totale dall’Occidente, ciò alla lunga causerà problemi di bilancio ai paesi occidentali e problemi di prontezza per le loro forze armate. La ricaduta economica globale della guerra, compresa la volatilità dei prezzi del grano e dell’energia, persisterebbe. Gli Stati Uniti non sarebbero in grado di concentrare le proprie risorse su altre priorità e la dipendenza russa dalla Cina si approfondirebbe. Anche se una lunga guerra indebolirebbe ulteriormente la Russia, quel vantaggio non supera tali costi“.
Charap non ignora le difficoltà insite in una trattativa, stante la feroce ostilità tra le parti, così specifica: “Dal momento che saranno necessari colloqui, ma un accordo è fuori discussione, la conclusione più plausibile è un armistizio […]; un cessate il fuoco duraturo che non risolva le divisioni politiche, porrebbe fine alla guerra aperta tra Russia e Ucraina, ma non al loro conflitto più ampio. Il caso archetipico è l’armistizio coreano del 1953”.
Quindi si sofferma sull’assenza di un qualsiasi impegno diplomatico da parte dell’Occidente, rilevando che “rispetto agli sforzi per fornire risorse per la controffensiva, praticamente nulla viene fatto per plasmare ciò che verrà dopo. L’amministrazione Biden dovrebbe iniziare a colmare questa lacuna“.
Ciò perché si può e si deve dar vita a trattative anche con gli scontri in atto. Infatti, Charap spiega che “durante la guerra di Corea, alcuni dei combattimenti più intensi si registrarono durante i due anni di trattative necessari a raggiungere l’armistizio, in questo periodo, infatti, si registrò il 45% delle vittime statunitensi. Iniziare a pianificare l’inevitabile diplomazia può e deve avvenire in parallelo con gli altri elementi caratterizzanti la politica statunitense, così come con la guerra in corso”.
Inoltre, occorre tenere presente che “aspettare a preparare il terreno per i negoziati ha i suoi costi. Più a lungo gli alleati e l’Ucraina continueranno a non sviluppare una linea diplomatica, più difficile sarà farlo. Con il passare dei mesi, il prezzo politico del primo passo aumenterà. Infatti, già ora qualsiasi azione degli Stati Uniti e dei loro alleati tesa ad aprire una via diplomatica, anche con il sostegno dell’Ucraina, dovrà essere gestita con estrema delicatezza, per evitare che sia vista come un’inversione di tendenza politica o un abbandono del sostegno occidentale a Kiev”.
Iniziare subito la lunga trattativa
“[…] Iniziare adesso a preparare tutto ciò ha senso anche perché la diplomazia non produrrà risultati dall’oggi al domani. Ci vorranno settimane o forse mesi per mettere d’accordo gli alleati e l’Ucraina su una strategia negoziale, e ancora di più per raggiungere un accordo con la Russia quando inizieranno i colloqui. Nel caso dell’armistizio coreano, sono stati necessari due anni e 575 incontri per mettere a punto le quasi 40 pagine dell’accordo. In altre parole, anche se domani venisse istituita una piattaforma negoziale, passerebbero mesi prima che le armi tacciano (sempre che i colloqui abbiano successo, il che è tutt’altro che scontato)”.
Nell’accordo, le parti in causa dovranno cedere qualcosa e occorrerà trovare un modo per evitare che il conflitto si riaccenda. Ma l’ostilità tra la parti dovrebbe spostarsi sul livello politico-culturale, al modo del contrasto latente tra la Germania dell’Est e quella dell’Ovest, livello nel quale Charap vede un vantaggio occidentale.
Infine, Charap tocca la vexata quaestio dell’adesione dell’Ucraina alla Nato, che scarta perché darebbe modo agli Stati Uniti di piazzare i propri armamenti nel giardino di casa della Russia, cosa che Putin non può accettare. Preferibile, dunque, offrire un’altra tutela a Kiev, ad esempio un accordo simile a quello siglato tra Usa e Israele, granitico ma non vincolante.
Di interesse il fatto che pochi giorni fa, il 2 giugno, anche Faared Zakaria, uno dei più influenti cronisti d’America, in un’intervista pubblicata dal New York Times, abbia detto che questa guerra potrebbe finire al modo di quella coreana. Quindi, ricordando le trattative intercorse nella prima fase della guerra ucraina, purtroppo fallite, ha aggiunto che probabilmente “entro la fine di quest’anno [dopo la controffensiva ucraina ndr], si potrebbe iniziare a intravedere un ritorno a quel tipo di dialogo”.