Gaza. La missione di Blinken e l'occupazione Usa dell'Iraq
Blinken, nell’ennesima visita a Tel Aviv, ha chiesto a Israele di non allargare la guerra a Hezbollah e di ridurre le vittime civili. Un refrain che Tel Aviv aveva già ascoltato e al quale finora ha evitato di adeguarsi. I media riferiscono di tensioni tra le parti, ma contano i fatti, e i fatti dicono che finora nulla è cambiato. La macelleria a ritmo continuo di Gaza procede, oltre 23mila i morti, tantissimi i bambini.
Tre atomiche su Gaza…
Peraltro, la difesa d’ufficio del Segretario di Stato USA all’accusa di genocidio intentata a Israele dal Sudafrica presso il Tribunale penale internazionale – accusa alla quale si sono associati altri Paesi ed entità politiche – non aiuta: finché Tel Aviv può contare sull’appoggio incondizionato dell’America, non ha alcuna remora nella sua azione.
Anche l’annunciato avvio di una nuova fase della guerra da parte dell’esercito israeliano, più mirata e meno intensiva, che ha accompagnato il ritiro di una parte del contingente militare da Gaza, se va nella direzione suggerita da tempo da Washington, si deve più a ragioni militari che non a un’adesione al suggerimento suddetto.
Ammassare troppi soldati nella Striscia, infatti, li espone eccessivamente agli attacchi dei miliziani di Hamas, che negli ultimi giorni sono parsi più efficaci; inoltre, c’è il pericolo di un logoramento delle truppe. Così, anche nella nuova fase, è difficile immaginare che i bombardieri fermeranno la loro azione. E sono le bombe a causare il maggior numero di morti.
Fonti ufficiali di Hamas hanno comunicato che gli aerei israeliani “hanno sganciato oltre 45.000 missili e bombe giganti, alcune delle quali del peso di duemila libbre”; il potenziale delle bombe in questione, hanno aggiunto, oltrepassa “la potenza di tre bombe nucleari come quelle sganciate [dagli Stati Uniti] sulla città giapponese di Hiroshima”. Fonti di parte, certo, ma i resoconti occidentali pregressi rendono tali informazioni credibili.
Peraltro, quasi metà delle bombe sganciate su Gaza erano non guidate, come ha svelato la CNN. Se si tiene presente che la Striscia è una delle aree più densamente popolata del pianeta si può adire a ovvie conclusioni.
Il senso per i bambini del Corte di Giustizia internazionale (ICJ)
La mattanza continuerà, dunque, a meno di un imprevisto. Da questo punto di vista l’accenno del ministro degli Esteri britannico David Cameron sul fatto che Israele potrebbe aver violato il diritto internazionale, ha una certa importanza. Un piccolo segnale di presa di distanza dall’alleato, che serve per evitare di essere coinvolti nella macelleria – ma sono coinvolti, eccome! – e per inviare un segnale agli interessati perché frenino la loro azione.
Quanto alla Corte di Giustizia internazionale (ICJ), che giudica le cause contro Stati, è ovvio che subirà pressioni fortissime perché non condanni Israele. Ma sperare in un sussulto di dignità di questo organo delle Nazioni Unite è d’obbligo.
Quanto al Tribunale penale internazionale, che si muove in parallelo alla ICJ ma giudica crimini di guerra e singole responsabilità, va ricordato come si sia mosso con celerità insolita contro la Russia nel caso dei bambini ucraini, un migliaio circa, trasferiti in territorio russo, cioè fuori dal teatro di guerra, condannando con altrettanta sospetta celerità Putin. Non ha neanche fiatato per le migliaia di bambini uccisi a Gaza…
Per tornare, infine, alla missione di Blinken, forse il suo solo risultato tangibile, almeno ad ora, è che ha frenato l’allargamento del fronte a Hezbollah, che vedrebbe giocoforza l’America entrare in guerra, sviluppo che Washington teme.
Ma è un risultato provvisorio ed è da vedere se terrà con i duellanti che, sul confine libanese, continuano il diuturno, contrapposto, tiro al bersaglio contro obiettivi più o meno mirati.
Gli USA si rifiutano di ritirare le truppe dall’Iraq
La vera novità del fronte mediorientale è il fermo niet del Pentagono sul possibile ritiro delle forze americane dall’Iraq, sollecitato dalle autorità di Baghdad, le quali si stanno muovendo in tal senso.
Nessun ritiro, afferma il Pentagono. Tale diniego, nel diritto internazionale, è l’equivalente di una dichiarazione di guerra ed evidenzia che si tratta di una forza di occupazione. Una violazione palese di quelle regole del Diritto di cui Washington si dice alfiere e una palese contraddizione con le ipocrite scuse pubbliche di Biden per aver sostenuto l’invasione irachena decisa sotto l’amministrazione di George W. Bush.
L’invasione di allora perdura ancora oggi, sotto altra forma e sotto gli occhi di tutti. Nel silenzio generale di media e politici occidentali che pure, negli anni, hanno condannato quell’invasione perché senza fondamento, non avendo l’Iraq le armi di distruzione di massa di cui era accusata.
Ora è addirittura peggio di allora. Allora, almeno, si cercò una scusa forte, benché mendace, per occupare il Paese. Oggi tale occupazione discende solo dalla forza bruta dell’occupante, che non si perita neanche di dare una giustificazione razionale: la necessità di contrastare l’Isis, motivo adotto nella circostanza, è talmente aleatoria che equivale a dire che tali truppe sono necessarie a contrastare un’invasione aliena.
Peraltro, il Paese occupato ha più volte dichiarato che non ha bisogno dell’occupante per tale azione, perché l’Isis è in rotta e sono bastevoli le sue forze. Inoltre, le forze occupanti hanno spesso colpito le milizie di Kata’ib Hezbollah, il ramo iracheno di Hezbollah, che sono parte integrante delle forze di Difesa irachena. Un chiaro atto di guerra contro Baghdad.
Tale situazione è scandalosamente avversa al diritto internazionale. Tant’è.