Gaza: la guerra messianica
“L’osservazione di domenica del Ministro del Patrimonio Amichai Eliyahu (del partito Otzma Yehudit), che ha affermato che sganciare una bomba nucleare sulla Striscia di Gaza è un’opzione, non è solo un problema della diplomazia israeliana, ma piuttosto per la realtà israeliana”. Così inizia l’editoriale di Haaretz del 6 novembre.
La guerra messianica
“Il problema non è una dichiarazione specifica, ma piuttosto il potere e la legittimità di cui gode oggi, in tutta Israele e nel governo, l’estrema destra kahanista, messianica, ebraica, che sostiene l’annessione [della Palestina] e l’occupazione [della stessa] e la necessità che sul Monte del Tempio abbia luogo la preghiera ebraica [piuttosto che l’islamica], e che vede la guerra attuale come un’opportunità e disprezza la comunità internazionale, le istituzioni internazionali e le leggi di guerra”.
“Non si è trattato di un lapsus. In un’intervista con Radio Kol Barama, Eliyahu ha affermato che ‘non ci sono [civili] non coinvolti’ nella Striscia di Gaza. Quando l’intervistatore gli ha chiesto se ciò significasse che Israele avrebbe dovuto sganciare una bomba nucleare sulla Striscia, ha risposto: ‘Bisogna fare proprio così’. E il suo successivo ‘chiarimento’ – ‘È chiaro a chiunque sia sensato che l’osservazione sul nucleare era metaforica’ – è semplicemente ridicolo. Una metafora di cosa?”
“Né è l’unica eccezione. Il collega di partito di Eliyahu, il deputato Yitzhak Kroizer, ha detto domenica alla radio dell’esercito che ‘la Striscia di Gaza dovrebbe essere rasa al suolo e dovrebbe esserci una condanna per tutti quelli che ci vivono: la morte. Dobbiamo cancellare la Striscia di Gaza dalla mappa. Non ci sono innocenti in quel territorio’. Intere aree del governo appartengono a questa pericolosa estrema destra”.
Secondo Haaretz la critica di Netanyahu all’enormità di Eliyahu è stata ipocrita, quasi un’alzata di spalle (“è scollegato dalla realtà”, ha infatti affermato). Una reazione blanda dettata dalla necessità di proteggere l’estrema destra alla quale ormai si appoggia totalmente.
Durante il regno di Netanyahu, continua il j’accuse di Haaretz, “Israele è diventato più estremista, e personaggi che un tempo erano odiosi paria ora sono ministri di alto livello. Idee e valori che prima erano rifiutati, come la ‘deportazione’ degli arabi da Israele, una seconda Nakba e la preghiera ebraica sul Monte del Tempio, sono stati normalizzati”.
“[…] È lui che ha legittimato le alleanze politiche con gli ammiratori del rabbino Meir Kahane, dell’assassino di massa Baruch Goldstein e dell’assassino della famiglia Dawabsheh. Sotto la sua guida, i coloni hanno iniziato a mettere gli occhi sull’Area B della Cisgiordania, che secondo gli accordi di Oslo ricade sotto la sicurezza israeliano e l’amministrazione civile palestinese” e i coloni più radicali “sono passati dall’essere sotto osservazione da parte dell’intelligence del servizio di sicurezza Shin Bet a servire come ministri, come membri della Knesset, come assistenti e consiglieri”.
“[…] L’estrema destra ha colorato l’intero governo, e tutto Israele, con i suoi colori di estrema destra. L’unico modo per risolvere il problema è rimuovere l’estrema destra dal governo e dai confini della legittimità israeliana”.
Tutto vero, se non che certo estremismo ha dilagato un po’ dappertutto all’interno di Israele, se anche il suo presidente Isaac Herzog, interpellato sul conflitto, ha risposto: “Non ci sono civili a Gaza”. Anche se poi ha corretto il tiro, resta l’impressione che, sotto lo shock del 7 ottobre, tanti in Israele hanno perso la necessaria lucidità.
Desertum fecerunt et pacem appellaverunt
Il punto è che quanto accaduto il 7 ottobre ha scosso nel profondo il Paese, che in tal modo fatica ad affrontare un momento tanto terribile con l’indispensabile umanità. Da qui la reazione spropositata, nonostante sia ovvio che il conflitto israelo-palestinese non ha una soluzione militare.
Le bombe che ogni giorno mietono vittime civili – quasi diecimila ormai, queste ultime, la maggior delle quali bambini -. non fanno che seminare altra disperazione e altro odio, da cui nasceranno nuovi miliziani e nuovi terroristi, pronti a sacrificare la propria vita per la causa di uno Stato palestinese.
Sul punto, va ricordato che anche vari movimenti dell’ebraismo militante imboccarono la via del terrorismo per lo stesso motivo. Lo Stato allora era negato dal dominio britannico e, secondo essi, ostacolato anche dalla presenza di una forte comunità araba nei territori reclamati.
Dalla frustrazione e dalla disperazione per tale situazione nacque l’Irgun, le cui efferatezze sono sintetizzate dall’Enciclopedia Britannica e che fu condannato anche dal Congresso sionista mondiale, ma ciò non impedì al suoi leader, Menachem Begin – che fu aspramente criticato anche da Albert Einstein – di diventare premier del futuro Stato di Israele.
Non solo l’Irgun, anche l’altra organizzazione militare sionista, l’Haganah, che successivamente diede vita all’Israel Defence Force (l’esercito israeliano), conobbe derive terroriste ora obliate (ma rammentate in un articolo di Haaretz).
Tanto che nel maggio 2016, B. Michael, su Haaretz, scrisse un articolo dal titolo che oggi suona provocatorio: “Hamas e l’Irgun? Come oso metterli a confronto”. Questo il sottotitolo: “Per tutti coloro che soffrono di amnesia volontaria, ecco solo alcuni dei momenti salienti della violenza degna di Hamas da parte dell’Irgun” (Michael probabilmente non riscriverebbe l’articolo: verrebbe lapidato sulla pubblica piazza).
Certo, né l’Irgun né l’Haganah ebbero modo di mietere tante vittime in un solo attentato come è avvenuto il 7 ottobre scorso, ma le atrocità che Michael riporta restano istruttive.
A limitare le atrocità messe a segno da tali organizzazioni è stata anche, e forse soprattutto, la tempistica, dal momento che la loro attività fu relativamente breve perché la creazione del sospirato stato israeliano ne sedò l’aggressività, mentre nel caso palestinese, la frustrazione e la disperazione ribollono da settant’anni.
Non si tratta di giustificare quel che è avvenuto il 7 ottobre, solo ribadire che non c’è una soluzione militare al problema palestinese. Così com’è avvenuto per Israele, sarà solo la nascita di una Palestina indipendente a risolvere, o quantomeno circoscrivere, certe derive. Le bombe su Gaza non faranno che acuire il problema.
Lo ha scritto a chiare lettere anche Ishaan Tharoor sul Washington Post del 2 novembre, in un articolo nel quale, raccontando la mattanza che si sta consumando a Gaza, ha scomodato, a ragione, il più grande storico dell’antica Roma e la sua più celebre annotazione: “Desertum fecerunt et pacem appellaverunt“, fecero un deserto e lo chiamarono pace.
L’unica annotazione che ci permettiamo di fare alle considerazioni di Tharoor è che egli vede la nascita dello Stato palestinese sono all’esito della guerra. Immaginare che si possa costruire uno Stato pacifico e prospero sulle ceneri, sul deserto, di Gaza appare un tragico errore. Urge fermare la mattanza, dare spazio all’umanità, dall’una e dall’altra parte.
Così chiudiamo con le parole di Gideon Levy, che deplora in maniera alta e forte la mancanza di pietà per il massacro dei bambini di Gaza di tanti suoi connazionali (come altrove): Tutto quel che accade a Gaza sembra che “non debba scioccare nessun israeliano, perché Israele piange i suoi morti. Anzi, non solo non deve scioccare: lo shock è stato addirittura bandito e criminalizzato”.
“Quanti esprimono il loro shock [per i bambini di Gaza] vengono arrestati, in particolare se sono cittadini arabi. Non ci si deve scandalizzare per la carneficina a Gaza, nemmeno per quella dei bambini, sulla cui innocenza e mancanza di colpevolezza non si può discutere; e protestare contro la loro uccisione è identificato come un vero e proprio tradimento. Sono bambini di Gaza e per Israele sono non-bambini, proprio come i loro genitori non sono umani; I nostri figli [dicono,] sono stati uccisi in modo più crudele”…