12 Marzo 2025

Gaza. La missione dell'inviato di Trump e la flessibilità di Hamas

L'inviato di Trump, Boehler, ha parlato delle trattative con Hamas e delle offerte ricevute, che aprono possibilità per una tregua duratura. Ma incombe il sabotaggio di Netanyahu
di Davide Malacaria
Gaza. La missione dell'inviato di Trump e la flessibilità di Hamas
Tempo di lettura: 4 minuti

Prosegue la fragile tregua di Gaza, nonostante tutto. E tutto comprende la violazione degli accordi da parte di Israele, dal momento che prevedevano il passaggio a una fase nella quale si iniziasse a trattare del futuro di Gaza, mentre ora Netanyahu chiede un prolungamento temporaneo del cessate il fuoco che gli consentirebbe di riprendere l’aggressione. E comprende il blocco degli aiuti alla Striscia, con la popolazione locale ridotta alla fame.

E, ultima trovata, Israele ha bloccato anche l’erogazione dell’energia che, oltre alle ovvie conseguenze sull’igiene, e quindi un aggravio delle patologie, ha fermato gli impianti di desalinizzazione, assetando i palestinesi. Secondo l’Unicef 600mila persone non hanno più acqua potabile. Se si tiene conto dell’alta percentuale di bambini, la denuncia assume un carattere ancora più drammatico.

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La missione di Boehler

Tel Aviv ha motivato la stretta disumana come un modo per far leva su Hamas perché rilasci gli ostaggi, ma la motivazione sembra ben altra: spingere la controparte a perdere la già scarsa fiducia nei negoziati perché torni ad imbracciare le armi, così che Tel Aviv possa riprendere la guerra.
Non è un mistero, infatti, che Netanyahu stia cercando in tutti i modi di sabotare le trattative avviate da Stati Uniti e Paesi arabi.

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Oggi le trattative sono riprese in Qatar, dov’è atterrato anche l’inviato di Trump Steve Witkoff, che domani si recherà al Cremlino a parlare con Putin, anzitutto della crisi mediorientale che è il suo incarico principale (i media informano che parlerà del conflitto ucraino perché nessuno ha interesse a dire che lo zar ha un ruolo di mediazione importante in Medio Oriente).

In attesa di sviluppi, segnaliamo una significativa nota del media libanese al-Akhbar, vicino a Hezbollah, sulla missione di Adam Boehler, l’inviato di Trump per gli ostaggi. La settimana scorsa Boehler aveva preso contatto con Hamas in una trattativa diretta mai avvenuta prima, dal momento che gli Usa lo classificano come terrorista.

Un ostacolo superabile, basti pensare ai contatti con i talebani prima del ritiro dall’Afghanistan o ai rapporti con al Qaeda in Siria (prima e adesso che ha preso il potere), ma insuperabile agli occhi del governo di Israele e di tanta parte della comunità ebraica globale, soprattutto americana, che considerano Hamas un abominio.

Così, per evitare reprimende e ostacoli, Boehler si era mosso senza informare Tel Aviv. Ma una fuga di notizie sugli incontri riservati ha posto fine al tentativo. A far trapelare la notizia, annotava Ronen Bergman su Yedioth Ahronoth, sarebbe stata Israele, per sabotare la missione.

Era il giorno nel quale Trump diffondeva il suo messaggio alzo zero contro Hamas, per eludere le feroci critiche sulla vicenda (vedi Piccolenote), al quale sono seguiti giorni altrettanto faticosi per Boehler, nei quali è stato attaccato da diversi media israeliani e americani.

Per uscirne, l’amministrazione Usa ha ridimensionato la vicenda spiegando che s’intendeva solo liberare gli ostaggi americani, che le trattative non hanno dato frutto e, infine, affermando, come ha fatto il Segretario di Stato Marco Rubio, che si trattava di una “episodio isolato” (coprendo in tal modo anche Trump che ha difeso Boehler).

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Il piano americano trova convergenze dentro Hamas

Tuttavia, si chiede al-akhbar, è possibile che “Boehler e altri [Witkoff ndr.] possano negoziare con Hamas senza che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ne sia informato e ne abbia una supervisione?”.

Non solo. Nonostante le critiche, “Boehler ha nuovamente parlato dei negoziati con il movimento [Hamas ndr.] dettagliando le loro proposte, tra le quali, secondo l’intervista rilasciata a Channel 11 [media israeliano ndr.], un ‘cessate il fuoco della durata compresa tra cinque e dieci anni’, la liberazione di tutti i prigionieri israeliani in cambio della scarcerazione di tutti i detenuti per motivi di sicurezza palestinesi, il disarmo del movimento e il permesso accordato agli Stati Uniti e ad altre potenze internazionali di smantellare i tunnel nella Striscia di Gaza” (il neretto è nostro e serve a evidenziare un nodo cruciale).

L’offerta di Hamas, continua il media arabo, “è del tutto coerente con i piani degli Stati Uniti attualmente sul tavolo delle trattative [che poi è quello dei Paesi arabi ndr.]. Questi ricomprendono accordi secondo i quali Hamas rinuncia al potere su Gaza in cambio del sostegno finanziario dei Paesi del Golfo per la ricostruzione; la formazione di un governo tecnocratico palestinese senza la partecipazione del movimento, con o senza la presenza di forze arabe per supervisionare l’accordo e garantirne la corretta attuazione; e la concessione all’Autorità nazionale palestinese di un ruolo limitato ai valichi di frontiera, sebbene quest’ultima clausola sia completamente respinta da Tel Aviv”.

“Sia che si consideri lo scenario presentato da Boehler su una tregua relativamente lunga o i piani di Trump, come descritti dai media ebraici, c’è una contraddizione molto significativa con la posizione e le richieste di Israele, in particolare per quanto riguarda la presenza di Hamas a Gaza“.

“In ogni caso, il piano americano appare relativamente completato e sembra la migliore opzione disponibile in un paniere di opzioni pieni di difetti e lacune, tra le quali quelle legate alle ipotesi di una nuova guerra, che sono, nel loro insieme, irrealizzabili” [secondo al-akhbar Israele avrebbe difficoltà a riprendere il conflitto, date la ritrosia dei riservisti a riprendere le armi e le laceranti dialettiche del corpo sociale israeliano; non convince, ma va riferito ndr].

“Ma la domanda ora, data la relativa risposta [positiva] di Hamas, è: gli Stati Uniti stanno lavorando per imporre tale opzione? Questa potrebbe essere la fonte dei timori di Israele, che non nasconde le minacce di un ricorso all’azione militare nel caso in cui i negoziati fallissero. Se non ci fosse stata la pressione americana su Tel Aviv” questa avrebbe già dichiarato falliti i negoziati e ripreso la guerra. Scenario istruttivo, soprattutto perché tracciato da un sito che non nutre certo simpatie per l’America o per Trump. Il braccio di ferro che si sta consumando sottotraccia, all’ombra di pubblici attestati di stima reciproca tra Trump e Netanyahu, è in piena evoluzione.