Gaza, l'ossessione Netanyahu
“L’amministrazione Biden ha notificato al Congresso che intende inviare un pacchetto di armi per Israele del valore di oltre 1 miliardo di dollari mentre i carri armati israeliani si stanno spingendo ulteriormente nella città di Rafah, nel sud di Gaza”.
Così l’incipit di un articolo di DaveDecamp su Antiwar, secondo il quale che ci vorrà tempo prima le armi arrivino, nondimeno ciò “dimostra l’impegno a lungo termine degli Stati Uniti per armare Israele, nonostante l’avvertimento del presidente Biden di interrompere la fornitura di alcune tipologie di armi se Israele avesse attaccato i ‘centri abitati’ di Rafah. E dimostra che Israele sarà rifornito di tutte le munizioni dei carri armati che utilizzerà a Rafah”. Inutile commentare tanta tragica ipocrisia.
La mattanza dei palestinesi prosegue, sia attraverso le bombe che attraverso le restrizioni degli aiuti, peraltro oggetto di assalti da parte di attivisti israeliani che restano impuniti nonostante il flagrante crimine. Atti più che vergognosi, stigmatizzati anche dall’editoriale di Haaretz.
Netanyahu ossessionato
Nessuno sviluppo significativo sul fronte del cessate il fuoco, dal momento che gli Usa sembra che abbiano ceduto di schianto al governo israeliano, con Netanyahu determinato ad andare fino a fondo e che ha contrastato anche l’ultima obiezione alla sua campagna militare, avendo dichiarato che è inutile discutere del “giorno dopo” finché Hamas resta al potere.
Obiezione sulla quale hanno tentato di spingere diversi ambiti frenanti, dentro e fuori Israele, per aprire spazi alla diplomazia, da usare anche per raggiungere una tregua.
D’altronde, Netanyahu vive alla giornata, avendo come unico scopo quello di perseguire in modalità ossessiva il conflitto, per evitare quella tregua duratura che sarebbe foriera di nefasti sviluppi per la sua vita politica.
Sembra inarrestabile. Non lo ferma l’America, sempre che lo voglia; né il dilagante dissenso internazionale, sempre più acceso nelle Università; né le proteste sempre più disperate dei familiari degli ostaggi, che vedono i loro cari condannati a morte dalla prosecuzione della campagna; né quelle delle madri dei soldati, che hanno chiesto a Netanyahu di non mandare i propri figlia a Rafah. È evidente che Netanyahu non sta scrivendo da solo questo romanzo criminale, altrimenti cadrebbe. Tanti e potenti lo supportano.
Intanto, gli orrori della guerra aumentano, con la scoperta di diverse fosse comuni rinvenute a Gaza, con cadaveri che evidenziavano segni di tortura e di esecuzioni sommarie; con la denuncia della CNN di un centro di detenzione, uno dei tanti, nei quali i detenuti sono legati a letto, con addosso soli dei pannoloni, le flebo per nutrirli e malmenati solo “per vendetta” (a raccontare alla Tv americana gli orrori di Sde Teman tre informatori israeliani)… oltre a tanto altro.
Non è una lotta al Terrore, ma altro. D’altronde, per tanti, in Israele, “non ci sono persone innocenti a Gaza”, come denuncia Etan Nechin su Haaretz, rilevando la “disumanizzazione” dei palestinesi (sul punto vedi anche una nota precedente).
Un odio che si intreccia con le pulsioni messianiche della grande Israele, che urgono a rivendicare il controllo delle terre bibliche. Di ieri la notizia che diversi “membri del governo israeliano si sono uniti a migliaia di israeliani in una marcia nel sud di Israele guidata da attivisti di estrema destra che chiedevano il ripristino degli insediamenti ebraici nella Striscia di Gaza e l’espulsione dei palestinesi. La marcia commemorava il 76° anniversario del giorno dell’Indipendenza di Israele, noto ai palestinesi come Nakba”.
L’irrigidimento dell’Egitto e la farsa delle zone sicure a Gaza
L’unica vera novità per le sorti del conflitto è l’irrigidimento delle autorità egiziane a causa dell’offensiva di Rafah, contro la quale si erano espresse molto duramente, e per il controllo israeliano del valico di frontiera e del Corridoio Filadelfia – che collega l’Egitto a Gaza – mosse che pongono criticità all’accordo di pace tra i due Paesi stilato nel 1979.
Tanto che il Cairo ha espresso la volontà di unirsi al Sudafrica nel promuovere l’accusa di genocidio contro Israele presso la Corte di giustizia internazionale, che il 16 e 17 maggio si riunirà nuovamente per deliberare sulla nuova richiesta di Pretoria, che ha chiesto alla Corte di ordinare a Israele di ritirarsi da Rafah per prevenire l’ulteriore genocidio dei palestinesi.
Consapevole dei rischi, Israele sta tentando di modulare meglio la sua Hasbara, cioè la propaganda aggressiva, tanto che si è premunito di definire le operazioni contro Rafah come “mirate”, anche se non appaiono dissimili dalle precedenti.
Ciò soprattutto per attutirne l’impatto sull’opinione pubblica internazionale, con particolare riguardo per l’America, che aveva chiesto appunto azioni mirate e non massive, anche se resta inevasa l’altra richiesta di Washington, quella di prevedere un piano di evacuazione fattibile per i civili di Rafah.
Non l’hanno avuto semplicemente perché non si può fare, come hanno denunciato tanti, anche all’interno dell’amministrazione Usa (The Intercept). Peraltro, anche l’idea di spostare i palestinesi in “zone sicure” suona come tragica irrisione.
Questo il post su X di Philippe Lazzarini, che presiede all’UNRWA, l’Agenzia Onu preposta al soccorso dei palestinesi: “Le autorità israeliane continuano a emanare ordini di sfollamento forzato noti anche come ‘ordini di evacuazione'”.
“Ciò sta costringendo le persone in Rafah a fuggire ovunque. Dall’inizio della guerra, la maggior parte degli abitanti di Gaza si è spostata più volte: in media una volta al mese, alla ricerca disperata di una sicurezza che non hanno trovato mai. Alcuni non hanno altra scelta che restare in rifugi bombardati. Le affermazoni riguardanti le ‘zone sicure’ sono false e fuorvianti. Nessun posto è sicuro a Gaza“.