Gaza: i negoziati Israele-Hamas non decollano, anzi
Circa 38mila i morti ad oggi, ma in realtà sono 48mila dal momento che l’Onu stima che più di 10mila palestinesi giacciano sotto le macerie di Gaza. Così siamo a quasi 50mila morti e 80mila feriti… Una mattanza disumana che sembrava potesse essere fermata con il piano Biden (più una speranza che una prospettiva reale), ma il piano non decolla e anzi è diventato un piano inclinato. Verso l’abisso.
Hamas ha chiesto modifiche. Fondamentalmente vuole rassicurazioni solide, cioè scritte, dagli Stati Uniti sul fatto che al rilascio degli ostaggi corrisponderà un cessate il fuoco permanente, che invece nel piano resta alquanto aleatorio. Da ricordare che, dall’inizio della guerra, tutti i negoziati sono saltati su questo punto…
L’ennesimo naufragio delle trattative s’intravede anche da un altro particolare: una fonte ufficiale israeliana ha detto in via confidenziale ad Haaretz che Hamas “ha rigettato il piano proposto dal presidente Biden”, mentre, come annotato sopra, hanno chiesto modifiche.
Peraltro, Tony Blinken ha subito dichiarato che le modifiche proposte da Hamas sono “irrealizzabili”, anche se ha aggiunto che le trattative continueranno. Ma l’accento cade, appunto, su quell’irrealizzabili, dal momento che se non è possibile mettere nero su bianco la tregua permanente, cade tutto. E l’aggettivo usato dal Segretario di Stato Usa fa ricadere solo su Hamas la responsabilità del fallimento.
Il WSJ e la “risorsa” Sinwar
Il fatto è che quanti vogliono far proseguire la guerra devono far credere al mondo che è Hamas a ostacolare tutto. Come per le vittime civili, colpa di Hamas che si nasconde tra di essi, anche il naufragio dei negoziati deve essere colpa della milizia palestinese.
In tal senso va letto anche il bizzarro dossier del Wall Street Journal, che i suoi relatori asseriscono sia fondato sulle comunicazioni segrete tra Yahyah Sinwar, il capo di Hamas a Gaza, e gli altri leader in esilio che stanno conducendo le trattative, una documentazione di cui avrebbero preso visione i cronisti, cosa della quale ci permettiamo di dubitare (sarebbe stato più credibile se avessero pubblicato un audio o una fotostatica, che non ci sono).
Di questo asserito dossier il WSJ rende pubblici solo alcuni cenni, del tutto de-contestualizzati, e ne enfatizza uno in particolare che dà il tono e il titolo all’articolo: “Il brutale calcolo del capo di Gaza: lo spargimento di sangue dei civili aiuterà Hamas”.
Il cenno in questione riguarda le vittime di Gaza. Sinwar avrebbe detto che “sono sacrifici necessari”. Tale accenno tende ovviamente a dare tutta la colpa ad Hamas delle vittime di guerra, come se non fossero le bombe americane a cadere su Gaza, usate in modo massivo e ingiustificabile dalle forze israeliane.
Non che Sinwar non sia feroce nella sua determinazione, ferocia che corre in parallelo con quella dei suoi nemici, alimentandosi l’un con l’altra (non per nulla Bezalel Smotrich, leader del partito Sionismo religioso, ha definito Hamas “una risorsa“).
Ma quel cenno, in realtà, è stato isolato e de-contestualizzato, mentre andava unito a un altro, come in effetti fa, ma solo di sfuggita e lasciandolo subito cadere, anche il WSJ, collegandosi al punto in cui Sinwar parla dell’indipendenza algerina, ottenuta appunto attraverso un notevole tributo di sangue.
Insomma, più che fotografare la brutalità del leader di Hamas, che pure sta, quel cenno segnala come le lotte di liberazione abbiano un costo umano (anche l’indipendenza degli States dal dominio britannico costò sangue).
Tale dossier, confezionato in tal modo, ha uno scopo ben preciso, mostrare che Hamas non vuole la tregua, anzi, beneficia delle vittime palestinesi.
Il 7 ottobre: l’operazione è andata fuori controllo
Nessuna rilevanza, invece, il WSJ ha dato ad altri due cenni dell’asserito dossier, che invece rivelano particolari più che importanti. Il primo è che la dirigenza di Hamas all’estero non sapeva nulla dell’attacco del 7 ottobre, cosa risaputa ma che in tal modo sarebbe conclamata.
Il secondo, ancora più importante, è che Sinwar afferma che durante l’attacco “le cose sono andate fuori controllo”, riferendosi “alle bande che hanno preso in ostaggio donne e bambini civili”, come sintetizza il WSJ.
Un cenno davvero significativo che getta ulteriore luce su quel 7 ottobre, sia sui rapimenti sia su altro, dal momento che conferma in modo inequivocabile, sempre se il dossier è vero, che quel giorno erano entrate in azione “bande” che nulla avevano a che fare con Hamas.
La milizia in questione ha sempre affermato di non aver ucciso deliberatamente civili, anche se è certo che nelle sparatorie con i pochi difensori israeliani di civili ne sono stati uccisi. L’azione di bande diverse da Hamas, che si muovevano con altri scopi rispetto ai miliziani potrebbe confermare tale asserzione.
Al di là, e per tornare ai negoziati, va ricordato che a spingere per chiudere l’accordo è Biden, che si è esposto pubblicamente in tal senso. La condanna del figlio Hunter, che rischia anni di prigione, complica moltissimo le cose.
Né può contare sui membri della sua amministrazione e sui dirigenti degli apparati statunitensi, molti dei quali, a iniziare da Blinken, sono solo forzatamente allineati alla sua posizione.
Che vi sia un disallineamento tra il presidente e quanti dovrebbero rendere operativi i suoi desiderata lo denota anche il tragico fallimento degli aiuti promessi da Biden mesi fa.
Aveva promesso che l’aviazione Usa avrebbe inviato aiuti per via aerea, cosa del tutto inutile e durata due o tre settimane; e che altri sarebbero arrivati attraverso un molo di emergenza costruito dalla Us Navy a Gaza, in effetti realizzato, ma subito reso non operativo dalle maree e sabotaggi vari (ma sembra sia operativo per scopi più oscuri: i palestinesi affermano sia stato usato nel sanguinoso blitz che ha condotto alla liberazione dei quattro prigionieri).
Stando così le cose, l’unico modo per chiudere la guerra è non inviare più armi a Israele, comminare sanzioni et similia. Ma il tentennante Biden non può o non vuole rompere con Tel Aviv. E qui sta tutta la sua complicità alla macelleria in atto.
Da ultimo, si registra che il piano Usa di far cadere il governo Netanyahu tramite l’uscita dal governo di Benny Gantz e la defezione del ministro della Difesa Yoav Gallant sembra sia naufragato sul nascere. La fuoriuscita di Gantz non ha prodotto la slavina annunciata, almeno per ora. E non sembra che la produrrà.