Gaza: il rilancio dei negoziati e le tante incognite
Un accordo per una tregua a Gaza sarebbe in arrivo. Lo ha scritto ieri David Ignatius sul Washington Post, lo hanno ribadito più o meno tutti i media israeliani. Le parti avrebbero raggiunto un accordo quadro, con dettagli ancora da definire, ma i due ostacoli principali, che hanno bloccato i precedenti negoziati, sembra siano stati superati.
Gli ostacoli superati e le pressioni su Netanyahu
Il primo è il destino della Striscia. Se in precedenza Hamas chiedeva il ritiro israeliano scontrandosi contro il niet della controparte, ora Israele ha accettato che, nella fase due dell’intesa – successiva a una tregua e a uno scambio di prigionieri – Gaza non sarà governata da Israele (né da Hamas) e la sua sicurezza sarà garantita da una forza dipendente dall’Autorità Nazionale Palestinese.
Più importante la svolta di Hamas sulla richiesta di un cessate il fuoco definitivo, riguardo al quale prima chiedeva garanzie scritte mentre ora ha accolto quanto previsto nel piano proposto dagli Usa e approvato dall’Onu, cioè che “se i negoziati della fase uno dureranno più di sei settimane, il cessate il fuoco continuerà finché continueranno i negoziati”.
Nel frattempo, mediatori americani, qatarioti ed egiziani “lavoreranno per garantire che i negoziati proseguano fino a quando tutti gli accordi non saranno raggiunti e potrà iniziare la fase due”, quella in cui Israele dovrebbe ritirare le truppe dalla Striscia.
Tanta precarietà in tale embrionale intesa, dovuta soprattutto alle manovre ostative di Netanyahu che, come rileva un titolo di Haaretz, ha “sistematicamente fatto deragliare i colloqui per liberare gli ostaggi dalla prigionia di Hamas”.
Ma le pressioni per raggiungere un’intesa sono tante, anche sullo stesso Netanyahu. In tal senso vanno lette le rivelazioni di due finanziamenti indirizzati a lui, anche se non finalizzati, dal Qatar (Jerusalem Post).
La direttiva Annibale
A più ampio raggio appaiono le pressioni sottese dall’articolo di Haaretz che ha fatto il giro del mondo, nel quale il media israeliano rilanciava, con nuove e più autorevoli testimonianze, che in quel fatidico 7 ottobre l’esercito israeliano ha ordinato alle sue forze di adottare la direttiva Annibale, che impone di evitare la presa di ostaggi anche a costo di uccidere i rapiti insieme ai rapitori.
L’atroce circostanza era già emersa in passato, ma era stata tacitata. Questa volta è diverso, dal momento che l’articolo di Haaretz fa pendant con un altro nel quale anticipa le conclusioni di un’indagine interna delle forze di difesa israeliane sul massacro avvenuto al kibbuz Be’eri, inchiesta che ha riconosciuto ufficialmente che l’IDF ha bombardato una casa nonostante la presenza di 13 ostaggi.
Anticipazioni che hanno lo scopo di mettere pressione sulla leadership israeliana, dal momento che minano la narrativa sulla quale si basa il massacro che si sta consumando a Gaza.
Se risultasse che la maggior parte delle vittime del 7 ottobre sono state causate dal fuoco incrociato tra aggressori e forze israeliane, mobilitate queste ultime nel più completo caos, e dall’applicazione della direttiva Annibale, verrebbe meno la disumanizzazione di Hamas con la quale si è tentato di giustificare il massacro successivo dei palestinesi. E sarebbe un’onta incancellabile per l’IDF che, invece di difendere i propri cittadini, li ha uccisi.
Difficilmente si arriverà a comporre un tale quadro, ma il solo accennare a qualcosa che avvicina tale orizzonte è pericoloso per la stabilità stessa di Israele. Non per nulla, quando Haaretz rivelò che un elicottero dell’IDF, sparando dei missili contro i miliziani di Hamas che avevano attaccato i partecipanti al rave di Nova, avevano forse colpito alcuni dei partecipanti, la reazione delle autorità fu durissima, tanto che il giornale dovette di fatto ritrattare.
L’endorsement di Gallant
Al di là di quanto accaduto quel giorno, che forse non si saprà mai, resta, appunto, che l’indiscrezione sulla direttiva Annibale di Haaretz ha lo scopo di esercitare pressioni sulla leadership di Tel Aviv perché ponga fine alla mattanza di Gaza e liberi, infine, gli israeliani presi in ostaggio da Hamas, ai quali è stata imposta una sorta di direttiva Annibale di altro segno, come da accusa di un familiare del prigioniero Ofer Calderon (dal momento che tanti di essi sono stati uccisi dalle bombe dell’IDF).
En passant, si possono ricordare le smentite di allora a tali accuse, come ad esempio quella del Sun: “AFFERMAZIONE ORRIBILE! Israele critica il rapporto ‘ripugnante’ delle Nazioni Unite secondo il quale [Tel Aviv] ha attivato la ‘direttiva Annibale’ per uccidere il suo STESSO popolo durante l’attacco di Hamas”…
Al di là della direttiva in questione e dei suoi tanti misteri, resta, appunto, lo spiraglio che si è aperto nei negoziati e le dichiarazioni del ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, che è sceso in campo in maniera esplicita a sostegno della ratifica dell’accordo con Hamas.
Ne informa il Timesofisrael che però, subito dopo tale notizia, ne riporta un’altra che accenna alla guerra segreta che si sta consumando in Israele e alle tante incognite che incombono sulla trattativa: “I sodali di Netanyahu stanno valutando di licenziare Gallant durante la pausa [estiva] della Knesset”.
Il fronte Nord e il viaggio a Washington di Netanyahu
In questo quadro appaiono importanti le dichiarazioni rese ieri dal leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, il quale ha ribadito che, se si arriverà a un cessate il fuoco a Gaza, Hezbollah fermerà le proprie operazioni.
Lo ha detto altre volte, ma stavolta appare più significativo perché nei giorni scorsi il fronte Nord si è infiammato al parossismo, tanto da far sembrare inevitabile una guerra in Libano. Se ne è parlato tanto e, a quanto pare, dopo tante minacce, Tel Aviv sembra che abbia deciso di procrastinare il confronto. Troppo rischioso per Israele.
Ma l’emergenza resta, con una fascia di 30 Km di territorio israeliano dal confine libanese ormai terra di nessuno a causa dei missili di Hezbollah. Dopo aver scartato, almeno ad oggi, l’opzione guerra totale contro Hezbollah, la proposta di Nasrallah per chiudere la partita deve aver trovato orecchie più attente a Tel Aviv.
Ma restano tante le incognite di questo puzzle impazzito. Tra queste, il viaggio di metà luglio di Netanyahu a Washington, dove parlerà al Congresso e forse incontrerà Biden.
Biden vorrebbe che vi giungesse previo accordo con Hamas, da cui il pressing attuale, ma Netanyahu, a sua volta, potrebbe usare la grande possibilità che gli si offre per spingere l’America nell’abisso di una nuova guerra mediorientale, cosa che verrebbe favorita da un attentato o qualche altra disgrazia similare. Vedremo.