I Gilets gialli e le convulsioni d'Europa
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Gilets gialli in Francia, conclusione dell’iter sulla Brexit in Gran Bretagna: giorni fatidici per l’Europa, che si contorce in preda a convulsioni. Quadro che va completato con il confronto serrato tra Roma e Bruxelles, che può finir male.
È un momento di transizione: il vecchio sistema che ha retto il Vecchio Continente negli ultimi decenni non regge più, nonostante, come tutti i sistemi, tenda ad auto-perpetuarsi.
Simbolo di tale transizione le dimissioni della Merkel, che negli ultimi anni ha rappresentato il suo volto bonario e rassicurante.
Il destino politico dell’ex Cancelliera forse non è compiuto, forse rivestirà cariche internazionali più o meno importanti, ma quel che importa è che il sistema che rappresentava è finito.
Gilets gialli
Sulla genesi del movimento dei gilets gialli sono nati interrogativi. I paragoni con le rivoluzioni colorate, supportate dagli Stati Uniti e dall’élite globalizzante, seppur facili quanto razionalmente motivati (con motivazioni varie e anche stravaganti), non sembrano andare a bersaglio.
Certo, un movimento di massa non nasce da solo, né da solo dura. Ma a quanto pare, sebbene supportato dagli ambiti francesi anti-Macron, e magari con legami extra-europei (Usa), non conserva con tali supporter rapporti simbiotici.
Innescata dal malcontento, sostenuto da ambiti politici di destra e sinistra che tale malcontento hanno intercettato nel passato, quella dei gilets gialli è una protesta tipicamente transalpina. Di quella Francia che ha la rivoluzione nel Dna e la Marsigliese come inno nazionale.
Tante le anime del magmatico movimento e tanti gli infiltrati, fattori che hanno reso quasi inevitabili le violenze. Resta che la repressione è andata fuori registro.
In casi del genere, gli intellettuali di sistema erano soliti bacchettare i governi altrui ed etichettarli come regimi autoritari.
Si pensi alla rivoluzione ucraina, che, fino alla notte oscura dei cecchini (sulla quale gravano ancora misteri), aveva prodotto violenze e repressioni similari. Stavolta è diverso: a essere contestato è Macron e si va in suo soccorso.
Più che interessante in tal senso il cantore delle rivoluzioni colorate e delle guerre neocon, Bernard Henry Levy, che vede fantasmi fascisteggianti tra le fila dei gilets gialli (e non li ha visti a piazza Maidan, dove pure c’erano simboli evidenti in tal senso).
Non che egli sia avverso ai gilets. Mette in guardia. Per concludere che l’unico sbocco democratico del movimento è quello di creare qualcosa di analogo a En Marche, il movimento del presidente contestato.
Una boutade che non varrebbe la pena di registrare. E che però ha un significato: En Marche, nato in occasione delle presidenziali francesi per incoronare il nuovo monarca di Parigi, Macron appunto, fu un prodotto alchemico, fabbricato nelle segrete stanze del potere transalpino.
Quel che Levy vuole dire, dunque, è che se il movimento diventerà funzionale al potere costituito avrà futuro, altrimenti sarà spazzato via. Questo almeno il suo auspicio, che comunque ha valore dato che il personaggio è voce di potere.
La Brexit e l’Italia
Stasera parla Macron. Vedremo in che modo le cose evolveranno. Come resta da vedere come finirà la Brexit, sulla quale la lotta si è fatta ancor più dura. Futuro oscuro. Può accadere di tutto.
Anche in questo caso, quel che si registra è che il sistema pregresso non vuol cedere alle forze che lo contestano, che nel caso specifico stanno cercando di allontanare Londra dall’Europa.
Ma se in precedenza le forze di sistema avevano un potere quasi illimitato, ora la lotta è con un potere quasi altrettanto forte, stante che ha l’appoggio riservato della Corona. Come evidenzia l’impossibile resistenza della premier Theresa May, il cui governo è sopravvissuto a rovesci devastanti.
Il duello rusticano è tra tre opzioni: Brexit, con o senza accordo, e no-Brexit. Non ci sono al momento opzioni di compromesso, così il livello dello scontro rischia di arrivare al parossismo.
Diverso il caso italiano, dove l’opzione compromesso pare si stia percorrendo sia a Roma che a Bruxelles, nonostante fibrillazioni minacciose (vedi previsioni catastrofiche della Goldman Sachs sul futuro italiano).
Tempo di transizione globale. L’Europa non poteva sperare di restare indenne al cambiamento. La germanizzazione della Ue ha bloccato il Vecchio Continente per anni, sclerotizzando il sistema, che ha perso l’elasticità necessaria ad armonizzarsi con i tempi.
Il tappo è saltato e ora si rischia. Si spera che si riescano a evitare bagni di sangue, purtroppo possibili.