4 Dicembre 2015

Gli Usa, il terrorismo e la voglia di egemonia

Gli Usa, il terrorismo e la voglia di egemonia
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«Previsioni no ma un’ipotesi fondata su qualche dato si può avanzare: l’offensiva finale contro il Califfato, plausibilmente, non comincerà prima della metà del 2017. Nel 2016 ci saranno le elezioni presidenziali statunitensi. Il nuovo presidente si insedierà all’inizio del 2017. A lui o lei occorrerà un po’ di tempo per elaborare una strategia utile allo scopo di venire a capo del problema nei suoi aspetti militari e politici. Obama, figlio di una stagione in cui l’opinione pubblica americana era stanca di guerre […] non farà nulla di nuovo, non restituirà all’America, men che mai nelle faccende mediorientali, il ruolo dello Stato guida, della potenza che esercita una forte leadership sull’insieme degli alleati […]».

 

«Bisognerà aspettare un altro presidente, democratico o repubblicano. Fino ad allora vivremo in mezzo alle contraddizioni di coalizioni di guerra, più nominali che reali, prive del collante che può fornire uno Stato egemone e deciso a esercitare l’egemonia. Inoltre, non potendo distruggere subito la principale fonte dell’infezione, continueremo ancora a lungo a fronteggiare un elevato rischio terrorismo». Così Angelo Panebianco in un editoriale del Corriere della Sera del 4 dicembre (Il ruolo offuscato degli Usa).

 

Nota a margine. Lettura molto interessante quella di Panebianco, che in sintesi spiega che da qui al prossimo presidente Usa è altamente probabile che l’Isis continuerà a prosperare e il terrorismo a insanguinare il mondo. Al contrario di quanto scrive Panebianco, però, non tanto per una carenza egemonica insita nella presidenza Obama, ma perché all’attuale Presidente degli Stati Uniti sembra sia impedito in ogni modo di portare a compimento quel compromesso con Putin che aveva dato vita al Vertice di Vienna

 

Un’assise che oggi appare lettera morta, ma che nelle intenzioni di Putin e Obama avrebbe potuto dare l’avvio a una risoluzione globale della crisi (se Obama non si fosse speso non si sarebbe mai svolto: Putin non aveva certo la forza di realizzarlo da solo). 

 

Chiusa la parentesi Obama, troppo votato al compromesso e poco all’assertività, i neocon, oggi frenati, con il prossimo presidente degli Stati Uniti potranno ricominciare a realizzare i propri desiderata in maniera più efficace, sempre se vince il predestinato o la predestinata (cosa al momento quasi scontata, democratico e repubblicano che sia: in questo ha ragione Panebianco).

 

In quel caso, però, crediamo che i tempi di azione contro l’Isis saranno più rapidi di quelli indicati nell’editoriale del Corriere, perché già ora esistono piani militari più che assertivi che Obama si rifiuta di mettere in pratica. Nella speranza, sempre più offuscata, di raggiungere quel compromesso per il quale si è speso contro i suoi potenti avversari (secondo le sue possibilità, che son davvero pochine).

 

Quanto delineato da Panebianco è assurto a prospettiva mondiale da quando l’attuale vice-presidente Usa, Joe Biden, sicuro vincitore della corsa alla Casa Bianca in caso di discesa in campo, ha deciso di non candidarsi. Biden avrebbe rappresentato la continuità di una ipotesi di compromesso globale. Il suo ritiro, motivato da ragioni familiari, ha assestato a tale ipotesi un colpo quasi mortale. 

 

Una prospettiva che sembra chiara anche alle varie Agenzie del Terrore, che hanno scatenato un’offensiva senza precedenti (si consideri che nel post 11 settembre, il periodo finora più assertivo della recente stagione terroristica, gli attentati “globali” non hanno registrato una cadenza praticamente quotidiana come l’attuale).

 

Infatti, lo scontro globale tra terrorismo e anti-terrorismo, assicurato dall’attuale prospettiva delle presidenziali Usa, non fa che rafforzare le forze del caos, delle quali le Agenzie del terrore sono solo i terminali…

Spes ultima dea.

 

 

Nella foto: la democratica Hillary Clinton e il repubblicano John Mc Cain