Accordo sul grano: niet russo e ipocrisie occidentali
Tempo di lettura: 4 minutiLa Russia non rinnova l’accordo sul grano dell’Ucraina, il Black Sea Grain Initiative. Tale decisione è stata condannata perché affamerebbe i poveri del mondo, dal momento che l’Ucraina è una delle prime nazioni produttrici ed esportatrici di prodotti granari del pianeta. Inoltre, causerebbe grave nocumento alla popolazione ucraina, che ha nell’esportazione del grano una risorsa preziosa, ancor più preziosa in tempo di guerra.
In realtà, la decisione non giunge affatto nuova. La Russia da tempo ha annunciato che avrebbe rinnovato l’accordo solo se fossero state soddisfatte alcune condizioni, anzitutto la reciprocità, cioè la cessazione delle misure prese dall’Occidente per contrastare l’esportazione del grano e dei fertilizzanti russi e la riattivazione del condotto che trasportava ammoniaca (usata come fertilizzante) dalla Russia all’Europa.
Ai Paesi poveri solo il 20% del grano ucraino
Il condotto dell’ammoniaca russa è stato bombardato dagli ucraini a inizi giugno, particolare che non ha certo aiutato Mosca a dare luce verde all’accordo. Detto questo, come accenna il New York Times, Mosca si è detta pronta a rinnovare l’intesa se saranno soddisfatte le sue richieste.
Resta che non è vero che il grano ucraino va ai Paesi poveri. Così Oxfam: “Solo una frazione del grano e di altri prodotti alimentari che ricadono nell’ambito della Black Sea Grain Initiative è stata spedita ai paesi più poveri del mondo, mentre circa l’80% è arrivato ai paesi più ricchi secondo i calcoli di Oxfam basati sui dati del Joint Coordination Center“.
Insomma, gran parte del grano ucraino va ai Paesi ricchi. Non solo, l’accordo è stato usato da speculatori ucraini e internazionali per ingrassarsi a spese degli agricoltori dei Paesi europei e dell’Ucraina.
Sul punto di può vedere l’indagine di un pool di giornalisti internazionali, i quali hanno scoperto come “nei primi sette mesi dell’invasione della Russia, gran parte del grano passato attraverso Halmeu e altri valichi di frontiera [romeni] è stato esportato da dubbie società ucraine accusate di evasione fiscale e altri crimini”. Sulla vicenda ha indagato anche la magistratura ucraina, che ha messo sotto “inchiesta 300 società”.
Ma il contrabbando del grano ucraino, venduto in tal modo a prezzi stracciati, è proseguito a lungo. E ha suscitato talmente tante proteste tra gli agricoltori di alcuni Paesi europei – che vedevano la loro merce marcire in magazzino – che lo scorso giugno la Ue ha dovuto bloccarne l’importazione in cinque Paesi membri.
Il grano e la grande Finanza
Insomma, tanti gli interessi indebiti sul grano ucraino, come denota anche un recente documento dell’Oakland Institute, che denuncia nel titolo: “Guerra e furto: l’acquisizione di terreni agricoli ucraini”. Lo studio dell’Istituto rivela che “oligarchi, personaggi corrotti e grandi imprese agroalimentari controllano oltre il 28 per cento della superficie arabile del paese”.
“Una tra le dieci più grandi società agricole è registrata all’estero, in paradisi fiscali come Cipro o Lussemburgo. Anche se gestite e controllate da oligarchi, un certo numero di aziende registrano investimenti dall’Occidente, da banche e fondi di investimento, che controllano parte delle azioni. Lo studio identifica molti importanti investitori, tra cui Vanguard Group, Kopernik Global Investors, BNP Asset Management Holding, NN Investment Partners Holdings di proprietà di Goldman Sachs e Norges Bank Investment Management, che gestisce il fondo sovrano norvegese. Inoltre, tanti sono gli investimenti di grandi fondi pensione degli Stati Uniti, Fondazioni” e altro.
Si può capire, dunque, l’apprensione dei tanti e potenti investitori occidentali, che grazie ai prodotti agrari ucraini moltiplicano i loro soldi virtuali usando dei tanti strumenti messi loro a disposizione della magia finanziaria.
Un verminaio, insomma, come denota anche un articolo del Kiyv Post di giugno scorso, che racconta come l’intelligence ucraina abbia scoperto un giro di tangenti milionarie pagate ad amministratori pubblici per evitare “test di laboratorio” e quindi avere “certificati di conformità per i prodotti agricoli“. Probabilmente si tratta solo della punta dell’iceberg di un fenomeno diffuso. E si può notare che, in tal modo, il grano veniva venduto senza alcun tipo di controllo di qualità…
Ipocrisie occidentali
Fin qui le criticità che gravano sul grano ucraino. Altre criticità gravano, invece, su quanti hanno definito criminale la decisione della Russia.
Bizzarro che a scandalizzarsi siano gli stessi Paesi che per anni hanno tenuto lo Yemen, una delle nazioni più povere del mondo, sotto la stretta di sanzioni e di un blocco navale assassino, come da comunicato dello scorso anno dell’Organizzazione mondiale contro la tortura: “Il blocco navale imposto allo Yemen da una coalizione guidata dai sauditi [che gode del pieno supporto dell’Occidente ndr] ha contribuito in modo sostanziale a far morire di fame i civili yemeniti” (la situazione si è sedata, ma non normalizzata, da poco).
Per fare solo un altro esempio di palese ipocrisia, si può registrare il caso dell’Afghanistan, sul quale gravano sanzioni durissime dopo il ritiro dell’America. Così l’economista Abdul Naseer Rishtia: “L’imposizione di sanzioni e restrizioni ha portato alla fame metà della popolazione del paese”.
Ma il colmo dell’ipocrisia è stato raggiunto da Josep Borrell che, a nome dell’Unione europea, ha definito la decisione russa “ingiustificata” e ha accusato Mosca di “trasformare la fame della popolazione in un’arma”.
In realtà, ciò è esattamente quel che sta facendo l’Unione Europea, che nelle stesse ore in cui Borrell denunciava quanto sopra, rinnovava le durissime sanzioni contro la Siria, che da anni causano fame e morte nel tormentato Paese mediorientale.
Motivo delle sanzioni, la permanenza al potere di Assad: portando alla fame la popolazione i leader europei e americani sperano appunto di creare malcontento e creare terreno fertile per portare a termine il regime-change finora fallito.
Si potrebbe andare avanti, ma va bene così. Si spera che l’accordo si rinnovi, così che almeno una minima parte del grano ucraino arrivi ai Paesi poveri. E perché sia rinnovato, si devono accogliere almeno in parte le richieste russe. Se trionfa l’ipocrisia, non accadrà.