Grecia: lezioni di democrazia (e di politica)
Tempo di lettura: 3 minutiUna lezione democrazia giunge al mondo dal luogo in cui essa è nata. Il ricorso di Tsipras al referendum è stata una intuizione felice, l’unica alternativa che gli rimaneva per uscire fuori dal cul de sac nel quale l’avevano cacciato i suoi interlocutori dell’Unione europea.
Infatti, la lunga trattativa condotta finora, che ha conosciuto stop and go improvvisi e imprevisti e troppo spesso inspiegati, non era solo lo scontro tra due impostazioni economiche diverse, ma aveva un aspetto politico ben più importante.
Si è detto che durante i negoziati entrambe le parti hanno ceduto alle richieste dei rispettivi interlocutori, ed è vero: sia Tsipras sia la Ue avevano ammorbidito nel tempo le loro posizioni iniziali. Ma non è sulle percentuali del pagamento dell’Iva o sull’età pensionabile che si è giocato e si gioca il confronto, bensì sulla linea di fondo. Pur nelle concessioni, la Troika (chiamarla diversamente è mero nominalismo) continua a pensare che l’unica via di uscita alla crisi greca sia una politica economica fondata sull’austerità,
Una impostazione che Tsipras, e con lui il suo governo e il popolo che lo ha scelto, non poteva accettare per il semplice motivo che la genesi della crisi greca sta proprio nell’austerità che gli è stata imposta (e sono davvero tanti gli economisti che la pensano così).
Una distanza siderale, quindi, tra i due interlocutori, che pure hanno continuato imperterriti nella trattativa smussando ma non recedendo dai propri fondamenti. Atene nella speranza che l’Unione Europea, posta di fronte alla possibilità di una Grexit, si trovasse costretta ad accettare la sua prospettiva. Bruxelles nella speranza recondita di distruggere il leader greco.
Sembrerà strano l’uso di questo verbo, ma non se ne trova un altro. Infatti, non sfugge che se Tsipras avesse accettato le richieste dei suoi interlocutori sarebbe stato considerato un traditore dai suoi elettori e avrebbe chiuso nell’infamia la sua partita politica.
Anche la trattativa continua rischiava di perderlo, dal momento che la sinistra interna del suo partito, Syriza, da mesi è in fibrillazione per l’arrendevolezza del suo leader (costretto tra l’altro a mettere la sordina al suo ministro degli Esteri Varoufakis perché irritava i suoi interlocutori, al contrario Junker può continuare a far irritare impunemente i suoi). Una fibrillazione che alla lunga rischiava di logorare e far cadere il governo di Atene, incalzato anche dai vari partiti di opposizione.
In ambedue le circostanze l’esperienza della sinistra greca al governo sarebbe finita e Syriza, il partito di Tsipras, avrebbe conosciuto un futuro infausto, inseguito da accuse di tradimento e di inaffidabilità sia nel primo caso che nel secondo. E la Grecia sarebbe tornata a essere governata da partiti e persone pronte ad assecondare gli austeri diktat di Bruxelles, come accaduto nel recente passato,
Sono considerazioni che concorrono a spiegare la mossa a sorpresa di Tsipras, il quale è riuscito a uscire dall’angolo nel quale era rimasto intrappolato. Si è smarcato usando dello strumento principe della democrazia, uno strumento che ha oltremodo irritato gli oligarchi di Bruxelles, non più avvezzi a misurarsi con le regole democratiche, tanto che non è stato concesso ai greci una adeguata misura ponte che recasse conforto alla popolazione in vista di una consultazione così importante (peraltro, ad oggi, non si sono registrati incidenti di rilievo nonostante la tragica situazione; pure questa è una grande lezione di civiltà e dignità).
Una mancanza di rispetto delle regole democratiche dimostrato anche dall’infelice uscita di Junker, il quale, con il suo proclama a favore del “sì” alle ricette elaborate dalla Ue, è entrato a gamba tesa all’interno delle scelte di uno Stato sovrano.
Una esternazione simbolica, anche perché dimostra ancora una volta che la partita è tutta politica (si teme il contagio in Europa, la fine delle politiche di austerità e altro e più importante). A conferma di questo, il fatto che stamane le Borse europee in un solo giorno hanno perso 287 miliardi. Sarebbero bastati molti meno soldi per dare sollievo alla Grecia…
Nota a margine. Colpisce, in una temperie tanto drammatica, l’assenza dell’Italia. Il nostro Paese sarà il prossimo obiettivo della disgregazione europea in caso di Grexit. Una qualche attivazione pro-Grecia sarebbe stata quindi più che necessaria: se non per solidarietà, quantomeno per convenienza. Il nostro governo si è limitato a formulare auspici, a bisbigliare nel chiuso di qualche cenacolo qualche ipotesi di compromesso, oltre alle solite simpatiche pacche sulle spalle e alle battute alle quali ci ha abituato il Presidente del Consiglio.
Sempre assente negli incontri decisivi (la colonia e i suoi reggenti pro-tempore non hanno alcun peso nei momenti decisivi), si poteva almeno sperare in una qualche dichiarazione alta e forte, un qualche passo formale in sede Ue.
Nulla di tutto questo. Va registrato, se non per la storia, che ha ben altro di cui occuparsi in questo momento, almeno per la cronaca (locale).