Guerra Libia: quelle false notizie che giustificarono l'intervento Nato
Tempo di lettura: 2 minutiL’11 marzo il premier libico Alì Zeidan è fuggito all’estero, sfiduciato dal Parlamento e inseguito dalla magistratura locale e da altro. Nel dare la notizia, Marinella Correggia, sul sito Sibialiria.org ripercorre le sue gesta e quelle di alcuni dei nuovi padroni di Tripoli, saliti al potere dopo l’intervento della Nato che ha posto fine al governo del Colonnello Muammar Gheddafi. In particolare la cronista si sofferma sul ruolo che ebbero alcune figure del nuovo corso libico nella prima fase della “primavera” che portò all’intervento della Nato.
Il 3 marzo del 2011 l’allora relativamente ignoto Alì Zeidan si dichiara pubblicamente un oppositore storico di Gheddafi e con un’intervista che fa il giro del mondo spiega come «la “repressione di Gheddafi” ha fatto seimila vittime. Tremila a Tripoli, duemila a Bengasi, mille altrove. È tutto falso». Ma Zeidan diventa subito dopo «portavoce del Cnt (Consiglio nazionale di transizione) di Bengasi, l’organismo di reggenza creato dagli oppositori armati al governo libico».
Altro oppositore di Gheddafi, o tale si qualifica, è Syed Sanouka, il quale, nel febbraio del 2011, «fingendosi membro della Corte penale internazionale (Cpi), lancia alla satellitare saudita Al Arabiya la famosa cifra: “Gheddafi ha ucciso diecimila persone”. Il relativo twitter della tivù fa il giro del mondo. Il giorno dopo la Cpi smentisce di aver minimamente a che fare con il Sanouka, ma i media non lo dicono».
Infine Suleiman Bouchuiguir: questo personaggio è il promotore di una petizione diretta all’Onu, firmata da lui, quale esponente della Lega libica per i diritti umani, «dall’organizzazione Usa UN Watch e dal National Endowment for Democracy (Ned), che non sono affatto Ong». Scrive la Correggia: «Senza produrre uno straccio di prova, la petizione sostiene che il governo libico stia commettendo “crimini contro la vita” (citando la Dichiarazione universale dei diritti umani) e “crimini contro l’umanità” (come definiti dalla Corte penale internazionale); chiede un’azione internazionale contro la Libia, “usando tutte le misure possibili” sulla base della cosiddetta “responsabilità di proteggere”, una formula inventata dall’Onu anni prima. La lettera è commovente: senza alcuna prova, parla di elicotteri e cecchini contro i manifestanti, artiglieria e killer che sparano, donne e bambini che per salvarsi si gettano dai ponti. Suleiman Bouchuiguir ottiene di far espellere la Jamahiriya libica dal Consiglio Onu per i diritti umani. Ovviamente dopo la guerra Nato Suleiman diventa ambasciatore». Anche qui, tutto falso. Scrive ancora la Correggia: «Mesi dopo, risulterà che i morti in Libia prima dell’intervento Nato sono stati al massimo trecento, e su entrambi i fronti (fra loro anche diversi africani subsahariani vittime di atti di feroce razzismo). Così sostiene in giugno anche Amnesty International».
Nota margine. Questi brevi cenni sono significativi non soltanto per capire quanto davvero successo in Libia nella guerra del 2011 – sulla quale c’è ancora tanto da scoprire -, quanto per comprendere certi meccanismi dell’informazione, fattore essenziale nei conflitti moderni.