La guerra ucraina e il Credo del Sacrificio
Tempo di lettura: 4 minutiNel ricordare, angosciato, le sofferenze causate dalla guerra ucraina, papa Francesco ha ricordato anche l’assassinio a sangue freddo di Daria Dugina, la figlia dell’ideologo russo Aleksandr Dugin.
Le parole del Papa hanno suscitato la furia di Kiev che, per bocca del suo ambasciatore presso la Santa Sede, ha condannato le parole di pietà spese da Francesco, il quale, a suo dire, avrebbe messo sullo stesso piano vittime e carnefici.
Ma la cosa più delirante del diplomatico affetto da delirio di onnipotenza – che discende da quello di cui è preda il suo capo Zelensky – è il rifiuto della condanna dell’omicidio di Daria, a suo dire uccisa dai russi per giustificare la guerra…
Un delirio che non si può neanche commentare, ma che avrebbe dovuto essere fermamente condannato dalle autorità italiane, a iniziare dallo strano ministro degli Esteri e soprattutto dal presidente del Consiglio uscente, che dovrebbe tener presente la sensibilità degli italiani prima di quella della Nato. Ovviamente nulla di tutto questo è accaduto.
D’altronde anche i loro riferenti d’oltreoceano, pur condannando l’omicidio della ragazza, hanno eluso domande sulle responsabilità ucraine, sostenendo di non saperne nulla (semplicemente impossibile, dal momento che Kiev non muove foglia che Cia non voglia).
Sacrifici
Al di là dei deliri e della cronaca nera restano la guerra e i drammi che essa comporta. I leader politici europei rimangono bloccati su posizioni rigide: nulla importando che le sanzioni stiano erodendo sempre più i portafogli dei cittadini dei loro Paesi, si sono impelagati in un mantra che li fa ripetere come robot che sono in arrivo anni durissimi.
L’ultimo ad aggregarsi al carro dei sacrifici umani è stato Macron, che ha parlato della “fine dell’abbondanza“, seguendo il premier belga, il quale aveva detto che “I prossimi 5-10 inverni saranno difficili” e altri con loro.
Tale voluttà sacrificale, dove a essere sacrificati saranno i cittadini del Vecchio continente e non certo loro, viene propugnato come un Credo del quale questi pseudo-leader si atteggiano a dolenti evangelisti.
La prospettiva sacrificale non è solo prospettata come necessaria, ma come inevitabile: come se la prosecuzione della guerra ucraina fino alla sconfitta della Russia (che peraltro sanno irrealizzabile) sia ormai inscritta nella Carta europea. Qualcosa di Sacro e ineluttabile.
Non si tratta solo di una prospettiva di politica estera, perché la prospettiva sacrificale offre alla leadership consegnata a tale Credo un’inaspettata quanto gradita opportunità per rilanciare il regime d’emergenza adottato durante la pandemia, sotto altre forme ma altrettanto ferreo e indiscutibile.
Nelle loro visioni distopiche, si tratta di entrare nell’ottica di un’economia di guerra, anche se formalmente non c’è alcuna guerra in corso con la Russia o la Cina (Paesi ai quali è un po’ arduo spiegare la sottigliezza).
Il niet di Boris e gli aiuti all’Ucraina
Sotto questo profilo, va registrata la visita a sorpresa di Boris Johnson a Kiev, nella quale il premier britannico uscente ha dichiarato solennemente che “questo non è il momento per proporre un fragile piano di negoziati”, reiterando così la performance dello scorso aprile, quando disse a Zelensky – in quel momento in trattative per un incontro con Putin – “che se anche l’Ucraina era pronta a firmare un accordo con la Russia, i sostenitori occidentali di Kiev non lo erano” (lo riferisce Dave DeCamp su Antiwar riprendendo fonti ucraine del tempo, ma anche altri).
Sacrifici, insomma, perché la guerra alla Russia per mezzo dell’Ucraina finora è stata sostenuta con il surplus dell’Occidente, ma non basta più. Lo annota l’Ukraine Support Tracker, che sta registrando gli aiuti diretti a Kiev nel corso della guerra.
“A luglio si è esaurito il flusso di nuovi aiuti internazionali all’Ucraina. Nessun importante paese della UE come la Germania, la Francia o l’Italia si è attivato per nuovi impegni significativi. E il divario tra aiuti impegnati ed erogati si è ridotto”.
“L’ultimo aggiornamento dell’Ucraina Support Tracker (dal 2 luglio al 3 agosto) mostra che, a luglio, l’Ucraina ha ricevuto solo circa 1,5 miliardi di euro in nuove promesse di sostegno. In totale, il tracker registra ora un impegno totale per 84,2 miliardi di euro” [che, peraltro, pochi non sono…].
“A luglio, i paesi donatori non hanno inviato nuovi aiuti, limitandosi a fornire parte di quelli già promessi, in particolare i sistemi d’arma”, ha dichiarato Christoph Trebesch, capo del team dell’Ukraine Support Tracker.
“Misericordia voglio, non sacrifici”
Stando cosi la situazione, se si vuole continuare la guerra i nuovi aiuti dovranno essere ricavati dalle tasche dei cittadini europei, nei modi e nelle forme che verranno stabilite. Una duplice vessazione, dal momento che essi stanno già pagando il conto delle sanzioni suicide imposte alla Russia. Sacrifici, appunto.
Così per tornare all’incipit del nostro articolo nel quale citavamo il Papa, si potrebbe citare anche il suo datore di lavoro, Gesù, di cui il Pontefice di turno è solo un più o meno umile Vicario in terra, il quale nel suo Vangelo ammoniva così i suoi: “Misericordia io voglio non sacrifici” (Mt 9,13)… per dire anche come sono lontani i tempi in cui tanti politici, nostrani e stranieri, si battevano per includere le radici cristiane nella Carta europea.
Una prospettiva di misericordia, in questo momento, sarebbe quella di aprire vie alla diplomazia, che la Russia accoglierebbe di certo, dal momento che è stata Mosca a inviare recentemente Erdogan in Ucraina per tastare il terreno per una possibile risoluzione del conflitto (Piccolenote).
Ma il biondo Boris Johnson, parlando a Kiev a nome e per conto dei circoli atlantici, ha solennemente rigettato l’offerta, optando per i Sacrifici, anzitutto dei poveri ragazzi ucraini, inviati in prima linea a combattere la Russia a maggior gloria dei grandi architetti dell’atlantismo.