Proxy wars, la dannosa procura bellica
Ci sono diversi tipi di conflitti e in epoca moderna sì è potuto assistere alla proliferazione delle “proxy wars” o guerre per procura. Si tratta di guerre che vedono il sostegno di Paesi terzi a fianco delle parti in conflitto. I motivi di una guerra per procura sono simili a quelli che muovono gli altri conflitti: interessi economici, strategici, geopolitici.
Il supporto di truppe, armi, intelligence e rifornimenti a una parte in conflitto ha prodotto sempre, con cadenza quasi matematica, un inasprimento crescente degli scontri, che di conseguenza si sono dilatati anche nel tempo.
Logicamente quando una fazione in conflitto ha più risorse dell’altra, ha maggiori possibilità di prevalere ed è, di conseguenza, più incentivata a proseguire la guerra piuttosto che a trovare un accordo. Una dinamica che nella sua semplicità, paradossalmente, complica i conflitti che la procura intenderebbe “risolvere”.
Infatti, quando una parte cerca un alleato, una dinamica inevitabile spinge l’altra parte a ricorrere a sua volta a un sostegno esterno. Da qui il prolungamento della guerra e la sua maggior virulenza.
La storia si ripete
Non è una teoria, ma quanto si è verificato in tutte le guerre, civili e non, avvenute tra il 1946 e il 2002, come dettaglia un articolo del 5 aprile di Foreign Policy scritto da Anthony Pfaff e Patrick Granfield.
“Il ruolo degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam è un primo esempio di questo rischio e delle sue conseguenze, sia morali che strategiche”, scrivono Pfaff e Granfield.
Proseguono i due: “Un impegno degli Stati Uniti che iniziò con alcune dozzine di ufficiali militari negli anni ’50 inviati per consigliare i vietnamiti filo-americani finì, negli anni ’70, con più di 58.000 americani morti e un Vietnam comunista”.
Allo stesso modo, più recentemente, nello Yemen, dopo la decisione degli Stati Uniti di sostenere la campagna dei sauditi contro i ribelli Houthi, il supporto iraniano per questi ultimi è aumentato a dismisura e “le prospettive di un accordo di pace sono scarse” continuano i due cronisti.
Tale meccanismo assume in questo caso una sfumatura ancora più paradossale per gli Stati Uniti, poiché “zone dello Yemen rischiano di diventare incubatori per l’estremismo e il terrorismo per cui gli Stati Uniti hanno speso così tanti soldi e dato così tante vite nel tentativo di contenerli o trasformarli dopo gli attacchi dell’11 settembre”.
Il rischio di supporto indeterminato
La periodicità di queste dinamiche è alquanto comprovata, cambiando solo nella forma. Si aggiunge a ciò anche la sistematicità della “diffusione”, termine con cui gli studiosi militari indicano il passaggio di armi nelle mani di organizzazioni terroristiche a cui ovviamente non erano destinate.
Per questo non stupisce la notizia, riportata a marzo dalla Cnn, secondo la quale veicoli corazzati anticarro Usa forniti alla coalizione anti-Houti sono finiti nelle mani di Jihadisti e organizzazioni terroristiche. A tal proposito scrivono Pfaff e Granfield: “Questo non dovrebbe essere una sorpresa. Nei conflitti proxy di tutto il mondo è emersa una dinamica simile”.
Infatti, tali circostanze si sono già verificate. Scrivono i due cronisti: “I missili Stinger forniti dagli Stati Uniti ai mujaheddin in Afghanistan, che combattevano contro i sovietici, furono fondamentali per il loro successo sull’Armata Rossa. Ma se ne avvantaggiarono i gruppi terroristici e le bande criminali”.
Prevenire è meglio che curare
Data la sistematicità della dinamica delle proxy wars è chiaro che la responsabilità della complicazione di un conflitto per procura ricade inevitabilmente sul Paese che interviene dall’esterno.
Mai come nel panorama moderno, in cui il fenomeno delle proxy wars è dilagante, la necessità di prevenire tali conflitti ha un’urgenza senza precedenti, per evitare l’allargamento spaziale e temporale di guerre le cui conseguenze possono diventare ingestibili. Basti tenere presente l’Iraq, che dall’intervento Usa del 1990 in poi non ha più avuto pace.
Per la risoluzione dei conflitti internazionali fu creato l’Onu, il cui ruolo purtroppo negli ultimi anni è stato gradualmente indebolito. Proprio adesso che servirebbe come non mai.