Haaretz: jihad ebraica scatenata su Gaza
La guerra a Gaza ha alimentato un mostro da tempo annidato nella società e nella politica israeliana. Un mostro che si è disvelato in tutta la sua “selvaggia” plasticità domenica scorsa, nella “Conferenza per la vittoria di Israele – Gli insediamenti portano sicurezza: il ritorno alla Striscia di Gaza e alla Samaria settentrionale”. Conferenza indetta dai partiti dell’ultradestra israeliana. Ne scriveva Alon Pinkas su Haaretz, che descrive l’atmosfera che permeava l’assise come “un’estasi messianica, un fervore religioso che ha ormai conquistato una posizione di potere”.
“Ciò che si è visto – prosegue – non era semplicemente una tensione teocratico-fascista presente nella società e nella politica israeliana, ma un ambito di potere, quasi metà della coalizione che sostiene Netanyahu (27 i parlamentari), compresi cinque ministri del suo governo”.
E ancora: “Ciò che si è visto non era un’idea astratta e illusoria che aspira a un ritorno degli ebrei a Gaza, ma un proclama di guerra per chiedere l’espulsione e lo sfollamento di tutti i palestinesi. Ciò che si è visto riguardava più la Cisgiordania – le bibliche Giudea e Samaria – che Gaza […] Questa ambito di suprematismo ebraico nazionalista-religioso è stato normalizzato, legittimato, integrato e incoraggiato da Netanyahu”.
Ciò non vuol dire che Gaza, dove più la guerra infuria, sia stata obliterata, anzi, proprio mentre i capi dell’intelligence di Qatar, Israele, Stati Uniti ed Egitto si incontravano a Parigi per cercare un accordo su una tregua in cambio della liberazione degli ostaggi, la folla adunata dall’ultradestra a Gerusalemme cantava “ritorno a Gaza”.
Articolo più che interessante e tutto da leggere quello succitato, anche per la spiegazione storica dell’ascesa dell’ultradestra, che ebbe inizio “dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, che per un ambito sempre più numeroso di sionisti religiosi fu un segno della venuta del Messia”. In questa nota, però, ci limitiamo a riportare questa parte dell’articolo relativa a Gaza perché ora urge chiudere la mattanza della Striscia, primo passo necessario per contrastare la dilagante aggressività dell’ultradestra.
La jihad ebraica
L’impatto delle pulsioni dell’ultradestra sulla guerra in corso è spiegato da un altro articolo di Haaretz, stavolta a firma di Zvi Bar’el, secondo il quale per tale ambito il conflitto “non è più una vendetta per l’uccisione di 1.200 israeliani e il rapimento di cittadini ebrei e arabi. Né si tratta di porre rimedio al tragico fallimento dell’esercito, dei servizi segreti e del governo [consumatosi il 7 ottobre]. Chiunque abbia assistito alla conferenza sul “Ritorno a Gaza” di domenica comprende molto bene che la guerra ha lo scopo di saldare i conti con un diverso crimine storico – il crimine del ritiro da Gaza del 2005” [deciso dall’allora premier Ariel Sharon ndr].
“Ne consegue che la guerra è ormai diventata una guerra santa, una jihad ebraica, per la quale nessun prezzo è troppo alto. Se anche tutti gli ostaggi morissero, se anche decine o centinaia di soldati venissero uccisi e se pure la comunità internazionale mettesse al bando Israele, il prezzo sarebbe comunque giustificato”.
“Distruggere Hamas o uccidere più di 25.000 abitanti di Gaza non è sufficiente per ottenere una vera vittoria. Si vuole la redenzione. E la redenzione ha i suoi proprietari, che detengono i diritti esclusivi sulla sua realizzazione”.
“Le tappe sono ben note. Cominciano con la scusa della sicurezza – l’affermazione che la minaccia ai residenti del sud di Israele, e a tutti gli israeliani, non può essere eliminata mediante una zona di sicurezza, un muro di separazione o dei campi minati”, tema diventato un mantra per tanti politici e opinion leader. Tutto infondato, secondo Bar’el, ma sul punto rimandiamo all’articolo.
Quindi, dopo aver spiegato l’ascesa di tale movimento, che “come una specie invasiva, ha preso il controllo della madrepatria, alla quale ora viene imposto di obbedire ai suoi ordini”, Bar’el prosegue spiegando come “lo slogan ‘un’adeguata risposta sionista’, che stabiliva un prezzo in terra per ogni persona uccisa, sia nato proprio nelle loro scuole. E ora si è presentata l’occasione di riaprire la filiale di Gaza. Come in Cisgiordania, anche a Gaza il settore immobiliare è avvolto da un’aura di sacralità. [Solo la terra] Riscatterà il sangue di coloro che sono stati assassinati”.
La vittoria divina
Non si tratta di ricostruire quanto in Israele è stato distrutto dal conflitto, né di assicurarne la sicurezza postuma, essi “hanno una missione diversa”. Infatti, “stanno preparando il nuovo simbolismo ebraico dell’eroismo e della fermezza, tornando alla terra promessa e distruggendo Amalek”.
“Proprio come la Guerra dei Sei Giorni del 1967 fu l’inizio della redenzione, così, secondo loro, la guerra di Gaza non è altro che il primo passo della missione per ottenere la vera vittoria ebraica, quella divina, più grande di qualsiasi vittoria militare o diplomatica. Perché non esiste altro modo per risarcirli dalle sofferenze causate, dagli immobili perduti e, soprattutto, dalla beffa del ritiro” da Gaza.
“Ora devono assicurarsi che quel ritiro sia l’ultima volta che la sacra missione cede davanti a un governo in carne ed ossa. E questa non è una teoria. È un fatto”.
“Gaza è stata rasa al suolo (vedi Guardian). E non solo per le esplosioni. Così Haaretz: “I comandanti dell’IDF hanno ordinato ai soldati di dare fuoco alle case abbandonate di Gaza senza alcuna giustificazione legale”…. Le vittime sono salite a 27.000, i feriti a 66.000, numeri che aumenteranno a causa di fame, stenti e malattie.
I desideri dell’ultradestra si stanno realizzando sul campo. Un’ondata di follia sta travolgendo i palestinesi, ma anche quel che resta della razionalità di Israele. Urge fermare la guerra per salvare quel che resta del popolo palestinese, ma anche per evitare che il mostro di cui sopra prenda il completo controllo di Israele, come da allarme di Zvi Bar’el.