Hamas - Israele. La guerra e i suoi tragici imprevisti
Le scene strazianti degli israeliani uccisi nell’attacco di Hamas e le scene di violenza contro i civili innocenti che hanno inondato il mondo rendono arduo l’esercizio di informare con la necessaria lucidità. Quella lucidità più indispensabile che mai in un momento in cui tutto sembra precipitare nell’abisso di un conflitto che potrebbe inghiottire il mondo intero, dal momento che c’è chi spinge per allargare il fronte dello scontro, dall’Iran alla Russia (?), nulla importando del destino del popolo israeliano e del popolo palestinese, che questa prospettiva precipiterebbe in un baratro rispetto al quale l’orrore di questi giorni impallidirebbe.
Inutile sottolineare la drammaticità di quanto sta avvenendo: a oggi sono 700 le vittime israeliane e nel Paese imperversano ancora cellule di militanti di Hamas, mentre Tel Aviv bombarda Gaza, dove si contano oltre 560 morti, numeri destinati ad aumentare in maniera drammatica.
Israele si sta mobilitando per un intervento di terra, una prospettiva che prelude a una strage di palestinesi e presenta tante e tali variabili che il suo costo potrebbe risultare insopportabile per Tel Aviv.
Hamas e le tragiche incertezze di Israele
Israele, infatti, potrebbe perdere tanti uomini, forse troppi per la sua immagine di forza invincibile, che ritiene necessaria alla sua sopravvivenza, e Hamas ha ancora tanti missili puntati sulle città israeliane, che le difese aeree non sono riuscite a salvare in questi giorni.
E se i bombardamenti su Gaza, che si annunciano più massivi che mai, saranno di certo osservati con indulgenza dall’Occidente a motivo dell’eccidio di questi giorni, non per questo Tel Aviv può permettersi un genocidio, pena il marchio di infamia imperituro. A tali difficoltà si sommano quelle degli ostaggi in mano ad Hamas, che Tel Aviv deve salvare a tutti i costi. Un’arma potente in mano alle milizie islamiste.
C’è poi la variabile delle milizie sciite di Hezbollah, attestate nel Libano meridionale, che hanno annunciato la loro discesa in campo a fianco di Gaza, se Tel Aviv dovesse superare determinate linee rosse. Ed Hezbollah può devastare nel profondo Israele con il suo micidiale arsenale.
Queste e altre possibilità sono spiegate nell’articolo di Hamos Arel pubblicato su Haaretz dal titolo: “Quattro opzioni sbagliate si presentano a Israele nella Striscia di Gaza”.
A tutto ciò si aggiunga la possibilità che la guerra si estenda all’Iran, opzione sulla quale si sta premendo in ambito internazionale. Ma anche se Israele usasse le atomiche del suo arsenale, è un’opzione che rischia di far sparire diverse città israeliane dalla faccia della terra, anche se godesse dell’ovvio supporto degli Stati Uniti (i cui arsenali, peraltro, presentano criticità a causa delle forniture all’Ucraina).
Inoltre, Teheran in passato ha mostrato a Tel Aviv la sua eventuale risposta alle atomiche, recapitando al rivale regionale un filmato in cui suoi missili colpivano la centrale atomica di Dimona.
Tante, troppe le variabili in gioco. E tutte nefaste. Così, dopo aver stigmatizzato con acuto dolore l’aggressione subita dai suoi concittadini e i crimini commessi da Hamas, Arel avverte: “Il terribile attacco terroristico che abbiamo subito non è la distruzione del Terzo Tempio, così come la pandemia di COVID-19 non ha portato alla fine dell’umanità. Forse è meglio per i media non alimentare ulteriore ansia su questa situazione già drammatica e difficile per tutti noi”. Un richiamo a conservare la necessaria lucidità, nonostante tutto, indispensabile per evitare ulteriori e più gravi disastri.
Il J’accuse di Haaretz contro Netanyahu
La rabbia contro Hamas sui media israeliani s’intreccia con quella verso il loro premier, al quale viene attribuita la responsabilità della débâcle dell’esercito e dell’intelligence, ma anche di aver alimentato l’incendio che sta divorando il Paese.
Di ieri il durissimo J’accuse dell’editoriale di Haaretz contro Netanyahu, reo di aver portato al parossismo lo scontro contro i palestinesi “ignorando” del tutto i loro diritti.
Riportiamo: “Netanyahu ha anche plasmato la politica condotta dal ‘governo del cambiamento’ di breve durata guidato da Naftali Bennett e Yair Lapid: uno sforzo multidimensionale per schiacciare il movimento nazionale palestinese su entrambe le ali, a Gaza e in Cisgiordania, a un prezzo che sembrava accettabile per l’opinione pubblica israeliana”.
“In passato, Netanyahu si presentava come un leader cauto che evitava le guerre che avrebbero provocato molte vittime israeliane. Dopo la sua vittoria nelle ultime elezioni, ha sostituito questa cautela con la politica di un ‘governo di estrema destra’, che ha adottato misure esplicite per annettere la Cisgiordania, per effettuare la pulizia etnica in alcune parti dell’Area C definita [dagli accordi] di Oslo”.
La guerra inevitabile
Sempre su Haaretz, un’annotazione di Uri Bar-Joseph: “La guerra è appena iniziata ed è ancora troppo presto per trarre conclusioni. Tuttavia, possiamo ricavare lezioni dalla guerra dello Yom Kippur”, che contrappose Israele agli Stati arabi nel ’73.
“‘Meglio Sharm el-Sheikh senza pace che una pace senza Sharm el-Sheikh’, aveva detto [Moshe] Dayan prima che iniziasse quella guerra. Dopo la guerra e i suoi pesanti costi, si rese conto che la pace senza Sharm el-Sheikh era preferibile. Così fece pressioni sul primo ministro Menachem Begin affinché accettasse un accordo che concedesse la pace a Israele e all’Egitto, al quale fu concesso fino all’ultimo granello di sabbia del Sinai”.
“[…] Dovremmo ricordare questa lezione quando Netanyahu parla di vendetta e i commentatori televisivi infuriati chiedono una nuova occupazione della Striscia di Gaza e l’annientamento di Hamas. Il conflitto di Israele con i palestinesi è stato lungo e aspro. Non rinunceranno all’aspirazione di un proprio Stato e adesso abbiamo ancora più coscienza del prezzo di questo conflitto perpetuo. La risposta, in definitiva, è porre fine all’occupazione e attuare la soluzione dei due stati basata sui confini pre-1967, preservando e sviluppando la forza militare”.
Interrogativi e nefaste prospettive
Restano, ovviamente, gli interrogativi su come sia stato possibile l’impossibile, con i miliziani di Hamas che entrano indisturbati in Israele. Come restano gli interrogativi sugli avvertimenti ignorati da Tel Aviv, oggi rilanciati da Times of Israel, che riferisce le dichiarazioni di un funzionario egiziano secondo il quale il suo Paese aveva ripetutamente avvertito Israele dell’incombenza di “qualcosa di grosso”.
Sempre su Times of Israel la negazione di Teheran di aver avuto un ruolo nell’attacco. Nonostante il sostegno dell’Iran alla causa palestinese sia noto, ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri Nasser Kanani, le forze palestinesi si muovono in totale autonomia. Presa di distanza confermata dal portavoce dell’IDF (Israel defence force), il generale di brigata Danny Hagari, che ha affermato che non vi è alcuna indicazione di un coinvolgimento iraniano nella guerra di Gaza (lo riporta Yossi Melman, cronista di Haaretz, su X, già Twitter).
C’è chi parla di un nuovo 11 settembre e ripete lo slogan di allora: “Nulla sarà più come prima”. Se la risposta di Israele è obbligata – né può essere altrimenti date le strazianti ferite che rimarranno impresse nella sua storia (e in quella del mondo) – reputare che la Spada di ferro, tale il nome dell’operazione avviata da Tel Aviv, possa risolvere con un taglio netto il nodo gordiano del tormentato conflitto che oppone israeliani a palestinesi e Tel Aviv a Teheran è illusorio e foriero di disastri.
Lo è stato per l’America, con la sua politica muscolare cresciuta in parallelo al suo ridimensionamento geopolitico, lo sarà per Israele se si affiderà alla sola Forza. Con la differenza che l’America ha una difesa naturale nel suo isolamento, Israele è conficcata nel cuore del caos che ha contribuito ad alimentare. Ma tanto di esistenziale c’è in questo scontro e tanto di irrazionale, evitare che tracimi sarà arduo.