16 Ottobre 2023

Hamas-Israele. Ostaggi: possibile trattativa sottotraccia

Possibile una trattativa per gli ostaggi - Guardian: evitare lo scontro con l’Iran, la guerra sarebbe globale - Zelensky chiede di visitare Israele. Risposta: “No, grazie”
Manifesti a Tel Aviv di israeliani ritenuti ostaggi
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Hamas ha fatto sapere, tramite l’Iran, che è disposto a liberare tutti gli ostaggi, ma, ha aggiunto il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanaani, che secondo loro “tali misure richiedono preparativi impossibili sotto i bombardamenti quotidiani“.

Lo rivela Timesofisrael secondo il quale Hamas “ha detto che è disposto a scambiare i prigionieri con migliaia di palestinesi detenuti da Israele secondo il modello di accordi del passato basati su scambi sbilanciati”. Da quanto riferito, non si comprende se Hamas abbia chiesto la cessazione definitiva dei bombardamenti o una tregua degli stessi che consenta di liberare gli ostaggi senza esporsi.

La differenza è grande: la prima opzione appare inaccettabile per Israele, che non può, almeno al momento, rinunciare al suo intento di eradicare Hamas da Gaza; la seconda richiederebbe una sospensione delle ostilità tale da poter effettuare la liberazione senza esporre i miliziani di Hamas al fuoco dell’IDF (Israel defence force).

Potrebbe essere accettata se prevalesse la logica, sia per ovvie ragioni umanitarie, ma anche politiche (Israele potrebbe rivendicare una prima vittoria, sebbene a caro prezzo) e militari (gli ostaggi in mano ad Hamas sono un freno alle operazioni).

Al momento non ci sono risposte da parte della leadership israeliana, che chiede invece la liberazione sic et simpliciter degli ostaggi civili e il permesso che i rapiti siano visitati dalla Croce Rossa.

La presenza USA e una possibile trattativa sottotraccia per gli ostaggi

Purtroppo, la richiesta di Hamas fa capire che non rilascerà nessuno senza nulla in cambio, né farà intervenire la Croce Rossa (si presume che possa temere che tale operazione umanitaria sia sfruttata da Israele per individuare la posizione degli ostaggi).

Apparentemente le posizioni sono inconciliabili, ma il fatto che Hamas abbia avanzato una richiesta ufficiale potrebbe voler dire che, sottotraccia, si possa trattare sulla questione, che oggi, peraltro, appare più drammatica di prima, essendo stato ritoccato in rialzo il numero dei prigionieri: non più un centinaio, ma 199.

Di interesse una notizia riferita dall’Agenzia stampa iraniana Tansim: alti ufficiali americani avrebbero affiancato i loro omologhi israeliani nelle operazioni militari. Tale affiancamento sarebbe stato reso necessario dal fatto che gli ufficiali israeliani sarebbero stati talmente traumatizzati dal raid di Hamas da non avere la lucidità necessaria a condurre le operazioni.

Mentre la motivazione appare frutto di propaganda, la notizia potrebbe esser veritiera, dal momento che gli USA hanno promesso a Israele il massimo supporto e tale cooperazione potrebbe comprendere una gestione in loco della ramificata rete militare e di intelligence americana.

Se si allarga il fronte, la guerra diventa globale

Tale sviluppo non sarebbe né una novità né una sorpresa, ma ovviamente va tenuta riservata per evitare di suscitare reazioni nel mondo arabo. Più interessante appare la conclusione della nota dell’Agenzia iraniana: “Alcuni dei comandanti americani coinvolti negli attacchi israeliani sconsigliano un’invasione di terra di Gaza. Sostengono che la probabilità di un duro colpo per l’esercito israeliano è eccezionalmente alta e ciò rende questa battaglia un rischio irragionevole”.

La criticità di tale opzione, che al momento appare però obbligata, sta anche nel pericolo di un allargamento del fronte alle varie forze islamiche della regione e allo stesso Iran, come annota Simon Tisdall sul Guardian in un articolo dal titolo: “Il pericolo che dobbiamo affrontare oggi è: Israele invade, l’Iran interviene – e questa guerra diventa globale”.

Nella conclusione Tisdall registra l’ovvio, che però non è sottolineato come dovrebbe dai media internazionali: “Uno scontro che vede Israele e gli Stati Uniti direttamente in guerra contro l’Iran di rado è apparso così ravvicinato. Come continua a dire Netanyahu, questo è solo l’inizio. La guerra con Hamas potrebbe diventare globale”.

Il principe saudita snobba Blinken

In questa temperie, gli Stati arabi appaiono compatti come mai prima d’ora. In altra nota abbiamo raccontato la telefonata storica tra il principe ereditario saudita Mohamed bin Salman e il presidente iraniano Ebrahim Raisi.

Rivelatore un aneddoto raccontato dal Washington Post secondo il quale, quando il Capo del Dipartimento di Stato si è recato a Riad “il sovrano saudita ha lasciato Blinken in attesa per diverse ore per l’incontro previsto in serata, al quale, peraltro, il principe ereditario si è presentato solo la mattina successiva”.

Lo sgarbo nasconde qualcosa di più di una semplice distanza diplomatica, emersa peraltro in tutta la sua plasticità dopo l’incontro. Un modo per dire che la guerra all’Iran non è gradita? Motivazione debole. Probabile che nascondesse una rimostranza altra e più inconfessabile riguardo la crisi in corso…

Zelensky? No, grazie

Da ultimo segnaliamo che Zelensky, che vede la sua guerra passare in secondo piano col rischio che perda alleati e risorse necessarie per combattere, ha chiesto a Israele di poter affiancare Blinken nella sua visita a Tel Aviv. Gli è stato risposto che non era il “momento giusto“.

il presidente ucraino, che in tal modo voleva strumentalizzare le povere vittime israeliane per rilanciare la sua causa – grazie al parallelismo con le vittime ucraine e quello inaccettabile tra l’aggressione di Hamas e quella russa – non è risultato gradito.

Dovrà rinunciare ai riflettori, ora rubati da Netanyahu, e pensare a un’altra via per far fronte ai disastri che ha causato alla sua gente prolungando a tutti i costi una guerra che non può vincere.

In attesa degli eventi, si spera che la diplomazia internazionale trovi una exit strategy per questa crisi. Israele non può non attaccare dopo quanto dichiarato e fatto. E, però, ha posticipato l’attacco di terra adducendo motivi di avversità metereologiche. Ciò dà tempo per trovare un qualche modo per uscire da questa maledetta crisi, che non può che arrivare se non da una risposta dura, anzi durissima, di Israele, ma in qualche modo limitata. Arduo: ma non del tutto impossibile.

Oggi Putin ha chiamato diversi leader della regione (il presidente egiziano Al-SIsi, quello siriano Bashar al-Assad, quello iraniano Ebrahim Raisi e palestinese Mahmoud Abbas) e con Netanyahu. Nulla si sa di cosa si siano detti con il premier israeliano. Telefonata, quest’ultima, più importante di altre.