26 Agosto 2024

Hezbollah-Israele: evitata, per ora, l'escalation

L'attacco di Hezbollah e quello preventivo di Israele chiudono il momento di sospensione che rischiava di dar vita a una guerra aperta. Nello stesso giorno, l'Iran dichiara che la sua reazione sarà calcolata
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L’attacco di Hezbollah a Israele in risposta all’assassinio del suo numero due e i raid israeliani lanciati per prevenirlo, piuttosto che aprire a una guerra su larga scala, sembra che abbiano avuto come esito quello di chiudere, almeno per ora, tale prospettiva.

Una prospettiva che si era aperta con l’uccisione di Fouad Chokor in un bombardamento israeliano nella periferia sud di Beirut, che ha reso inevitabile la risposta di Hezbollah, che è stata ritardata di quaranta giorni nei quali, presumibilmente, si sono svolti colloqui sottotraccia tra attori e antagonisti vari per limitare al massimo i rischi di un’escalation, che nessuno vuole (tranne Netanyahu, che ne ha gettato le basi, ordinando l’improvvida operazione militare a Beirut).

Evitare l’escalation

A segnalare che Hezbollah voleva evitare l’escalation il fatto che avesse preannunciato che avrebbe colpito solo obiettivi militari e che ha lanciato contro Israele 340 missili di scarsa potenza, i katyuscia di sovietica memoria, e droni, evitando di usare missili di precisione e strategici che pure possiede.

Il principale obiettivo dell’attacco era la base Gilot, nell’estrema periferia di Tel Aviv, base operativa dell’Unità 8200, specializzata nello spionaggio elettronico, e base dell’Aman, il servizio di intelligence dell’esercito, sebbene siano stati presi di mira anche obiettivi minori. In parallelo, Israele lanciava il suo cosiddetto attacco preventivo, i cui obiettivi dichiarati erano le basi di lancio dei missili, allo scopo di frenare l’operazione nemica.

A questo punto le narrazioni, come al solito, divergono, con Israele che racconta di come l’attacco preventivo abbia funzionato alla perfezione, impedendo che i vettori di Hezbollah arrecassero danni, anche perché molti di essi sarebbero stati intercettati; la controparte, invece, riferisce che l’attacco sarebbe perfettamente riuscito, avendo centrato gli obiettivi mirati e avendo evitato che i bombardamenti dell’avversario danneggiassero le proprie basi di lancio.

La nebbia di guerra impedisce di sapere come siano andate veramente le cose. Secondo The Telegraph, Israele ha ordinato ai media di non pubblicare nulla senza un’autorizzazione dei militari, cioè ha imposto la censura (l’articolo del media britannico è citato da vari siti arabi, tra cui l’autorevole Middle East Eye).

Ciò potrebbe significare che l’attacco ha fatto più danni di quanto Israele voglia ammettere: circostanza che potrebbe essere confermata da un cenno del Timesofisrael, che parla di un attacco “per lo più sventato“.

Teheran: risposta calcolata

Vedremo se il tempo dirà cose, ma tutto potrebbe chiudersi così, senza ulteriori conferme sui danni, perché ciò potrebbe spingere Tel Aviv a intraprendere nuove avventure per vendicare l’orgoglio ferito e ristabilire la deterrenza.

Alle opposte narrazioni hanno corrisposto le opposte pose muscolari ex-post, con il leader di Hezbollah, Nasrallah, che ha affermato che il suo movimento seguirà “l’esito dell’insabbiamento di ciò che è accaduto oggi da parte del nemico: se il risultato sarà soddisfacente, considereremo completato il processo di risposta, ma se il risultato non sarà sufficiente, ci riserveremo il diritto di rispondere fino a nuovo avviso”.

Da parte sua, Netanyahu ha dichiarato che “la storia non finisce qui”. E di certo il premier israeliano non si rassegnerà facilmente a riporre i suoi sogni incendiari riguardo all’avvio di una guerra regionale di prospettiva globale (vedi Haaretz: “Netanyahu vuole una guerra mondiale”).

Ma si tratta di dichiarazioni d’obbligo, e possono voler dire tutto e niente. Resta che il fatto che l’attacco di Hezbollah ponga fine, per ora, al momento di sospensione seguito all’assassinio del suo numero due è segnalato anche dalle dichiarazioni delle autorità iraniane.

Anche Teheran aveva annunciato una reazione all’assassinio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuto sul suo territorio lo stesso giorno di quello di Fouad Chokor. E anche Teheran, come Hezbollah, finora ha rimandato la risposta.

Appare di interesse che, subito dopo l’attacco di Hezbollah, il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi abbia dichiarato che la riposta iraniana, benché inevitabile, sarà “calcolata”. Insomma, Teheran non mira all’escalation. Così il momento di sospensione successivo ai due omicidi effettuati da Israele potrebbe chiudersi a breve, a meno di imprevisti sempre possibili nel malmostoso puzzle mediorientale.

I colloqui del Cairo

Il momento di sospensione di cui sopra corre in parallelo con quello riguardante i negoziati tra Israele e Hamas su Gaza. Di ieri i colloqui al Cairo che, secondo gli americani, avrebbero dovuto essere decisivi: commenti che denotano illusoria leggerezza che corre in parallelo con una prassi criminale.

Infatti, era impossibile che potessero andare in porto, avendo Netanyahu rimescolato ancora una volta le carte per aggiungere all’accordo raggiunto a luglio con il sì di Hamas, condizioni che la controparte non può accettare (il controllo totale da parte di Israele delle frontiere di Gaza, la divisione della Striscia in due zone e soprattutto il fatto che Tel Aviv, come riferito dalla CNN, si riserva il diritto di riprendere le ostilità contro Hamas quando vuole).

Detto questo, Hamas ha inviato ugualmente una delegazione al Cairo, ufficialmente solo per ascoltare, non volendo partecipare ai negoziati. Ma la mossa segnala che non ha voluto chiudere del tutto la porta a un’intesa, ed è difficile credere che abbiano davvero solo ascoltato. Tuttavia la strada per un accordo resta in salita.

Nel toccare il tema dei negoziati, abbiamo accennato a come gli USA da una parte stiano spingendo per un cessate il fuoco, da raggiungere alle condizioni imposte da Washington e Netanyahu, da cui le tante asperità, dall’altra, però, continuano a sostenere senza sosta la macelleria di Gaza.

Oggi i media israeliani hanno celebrato l’arrivo in Israele del 500° aereo carico di armi e munizioni proveniente dagli USA, che in totale, dal 7 ottobre, hanno inviato a Tel Aviv 50mila tonnellate di equipaggiamento militare (Jerusalem Post). Spedizioni tossiche, che hanno drogato la leadership israeliana, spingendola a puntare tutto sulla forza.

Sul punto, cenno di tenue speranza, prosegue il braccio di ferro con il comando dell’esercito. Di ieri le dichiarazioni del portavoce dell’IDF Daniel Hagari, secondo il quale la priorità resta la liberazione degli ostaggi. Parole che contrastano la linea, pur non ufficiale, del governo, che vede con il fumo negli occhi un accordo in tal senso con Hamas,  dal momento che la guerra in corso deve proseguire perché, concludendosi, Netanyahu rischia di perdere il potere attuale (Haaretz).

Peraltro, Nasrallah ha ribadito che la fine delle operazioni militari a Gaza chiuderebbe le ostilità anche con Hezbollah. Altro motivo per Netanyahu per evitare l’intesa – impedirebbe la guerra regionale -, altro motivo per perseguirlo.