I dazi sull'acciaio di Trump
Tempo di lettura: 3 minutiInteressante l’editoriale del Guardian sull’iniziativa di Trump di alzare dazi sull’acciaio. Tale mossa, secondo il quotidiano britannico, è una scommessa: se essa porterà «a prezzi più alti per i consumatori statunitensi» rischia di essere del tutto controproducente.
Detto questo, continua l’articolo, «se, come sembra probabile, la Cina è il vero bersaglio dell’iniziativa del presidente», val la pena notare che l’imposizione dei dazi sull’acciaio ha un impatto relativamente basso, «perché la Cina non è nemmeno una delle prime dieci aree di importazioni di acciaio degli Stati Uniti».
Importante sembra, quindi, non tanto il risultato, quanto il segnale. Da qui però a parlare di guerra commerciale ce ne passa, prosegue il Guardian.
«Parlare di una guerra commerciale in piena regola», si legge infatti sull’editoriale, «per non parlare di un ritorno ai giorni bui degli anni ’30, è totalmente esagerato. In primo luogo, l’acciaio e l’alluminio rappresentano solo il 2% del commercio mondiale, quindi l’impatto delle tariffe previste dal presidente Trump sarà modesto».
In secondo luogo, a quanto pare gli «altri grandi operatori del commercio globale» hanno dato una risposta, almeno al momento, del tutto limitata.
La globalizzazione e i dazi sull’acciaio
«Infine, lo stato dell’economia mondiale è diverso dagli anni ’30. A quei tempi, il protezionismo tit-to-tat innescato dall’imposizione della tariffa Smoot-Hawley negli Stati Uniti del 1930 contribuì ad approfondire la crisi [vedi nota esplicativa ndr.]. Oggi l’economia globale sta crescendo con un ritmo più veloce dalla crisi finanziaria iniziata un decennio fa».
Detto questo, la decisione di Trump sembra mostrare «che non ci sarà ritorno al periodo tra la caduta del muro di Berlino e il crollo della Lehman Brothers, quando la globalizzazione era in ascesa. Gli elettori negli Stati Uniti e altrove non credono più che la libera circolazione di merci, persone e denaro siano garanti di una crescente prosperità». Che poi è stata la chiave della vittoria di Trump alle presidenziali.
Nel modello proposto (e imposto) dalla globalizzazione, continua il Guardian, «non tutti guadagnano dal commercio, e alcuni guadagnano molto più di altri. Quindi, se ci sarà una guerra commerciale, il signor Trump non sarà l’unico da biasimare».
E conclude: «Coloro che hanno strombazzato i benefici della globalizzazione hanno affermato che questi sarebbero stati equamente condivisi. Non è stato così. Hanno detto che essa avrebbe aiutato coloro che avessero perso posti di lavoro ben retribuiti. [Tale aiuto] non è mai arrivato».
La valenza politica della mossa di Trump
L’innalzamento dei dazi sull’acciaio ha un valore politico alto: il presidente degli Stati Uniti sta dicendo ai suoi elettori che porterà a compimento quanto promesso in campagna elettorale.
Stretto dalle inchieste giudiziarie sul Russiagate, Trump si smarca e cerca il consenso del suo popolo.
Iniziativa di alta politica, dunque, e coraggiosa: la contesa innescata con il potere oscuro della globalizzazione sembrava del tutto velleitaria, data la sproporzione delle forze in campo.
Se vero quanto scrive il Guardian, Trump rischia di vincerla. E così cambiare il mondo (esito però non scontato).
Infine, va sottolineato un altro aspetto della mossa di Trump: da presidente degli Stati Uniti sta riproponendo con forza il primato della politica sull’economia. La capitolazione della prima alla seconda ha creato ferite profonde alla tenuta della democrazia d’Occidente.
Della presidenza Trump si è detta la sua natura nazionalista e sovranista, termini usati con certo disprezzo verso il personaggio e le idee politiche che incarna. Vero. La mossa dei dazi rende però evidente che tale terminologia è del tutto riduttiva.
Trump può stare simpatico o meno, ma la sua valenza rivoluzionaria è ora palesemente innegabile. Da qui anche il contrasto da parte del sistema consolidato pregresso.