I misteri irrisolti del 7 ottobre
Israele e l’intero Occidente ricorda il 7 ottobre e gli orrori di quel giorno, quando una variabile nuova entrò nel mondo. Una variabile preceduta da tre eventi catalizzatori. Il primo, lo scontro interno a Israele. Pochi al di fuori di Israele lo ricordano, ma nei mesi precedenti il Paese fu lacerato da un conflitto sociale e politico senza precedenti, con Netanyahu che spingeva per cancellare le fondamenta della democrazia e le opposizioni a riempire le piazze.
Un conflitto esistenziale per Netanyahu, che con la riforma cercava di uscire indenne dal processo che lo avrebbe spodestato, ma soprattutto per lo Stato israeliano, dal momento che non si intravedeva nessuna via di uscita e registrava continue escalation che preannunciavano un collasso di sistema.
Cancellare la Palestina
L’altro catalizzatore del 7 ottobre è stata la spinta per portare a compimento gli Accordi di Abramo, una normalizzazione tra Tel Aviv e i Paesi arabi che superasse la pietra di inciampo che l’aveva impedita fino a quel momento, cioè la nascita dello Stato palestinese.
Una obliterazione che Netanyahu ha ostentato al mondo, come ricorda Hagai El-Ad su Haaretz, quando in un’assise sul tema mostrò una “mappa antistorica in cui ‘Israele’ era raffigurato come l’unica entità che dal 1948 controllava l’intera regione, dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano, una mappa che cancellava completamente la Palestina e i palestinesi. Se fossero stati i palestinesi a usare quella mappa, sarebbero stati accusati di voler eliminare Israele”. Due settimane dopo, l’invasione sanguinosa di Hamas che rivendicava, a suo modo, e con una violenza dettata dalla disperazione, il diritto all’esistenza dei palestinesi (vedi Omerf Bertov su Balfour Project).
L’altro catalizzatore è stata la spinta del messianismo ebraico, al quale Netanyahu ha dato carta bianca, che ha moltiplicato le provocazioni e le asprezze verso i palestinesi e i loro luoghi più sacri.
Tanti i misteri di quell’aggressione, primo fra tutti l’assoluta impreparazione di Tel Aviv a un evento che era stata preannunciato in tutti i modi, come dimostrato dalle inchieste successive svolte dai media israeliani. Tutti gli alti dirigenti dell’esercito e dell’intelligence erano a conoscenza da tempo e nei minimi dettagli dei piani di Hamas. Ma le autorità israeliane hanno deliberatamente ignorato tutti i ripetuti allarmi, anche quelli giunti a ridosso dell’attacco stesso. Le spiegazioni date al totale collasso della sicurezza, anche a distanza di un anno, non convincono.
La direttiva Annibale
C’è poi il mistero di quanto realmente accaduto quel giorno. È ormai accertato che sia stata diramata la Direttiva Annibale (Yedioth Ahronoth), che chiede ai militari di sacrificare eventuali rapiti pur di non farli prendere in ostaggio. L’insabbiamento generale ha impedito di accertare su quale scala sia stata applicata. Non è un particolare da poco, anzi.
L’altro mistero riguarda gli obiettivi dell’invasione delle milizie palestinesi. Hamas ha affermato di aver attaccato obiettivi militari e che molte della vittime civili sono state uccise nel corso di scontri a fuoco con agenti della sicurezza e di polizia, anche questi, peraltro conteggiati tra le vittime civili.
Altri civili, invece, afferma Hamas, sarebbero stati uccisi da criminali comuni fuoriusciti dalla Striscia di Gaza in quel giorno di caos, che hanno approfittato dell’occasione per far man bassa in territorio israeliano, dando sfogo alla loro brutalità. Si tratta di una narrazione di parte, certo, ma per affermare con certezza che è falsa si dovrebbero fare indagini indipendenti, che non sono mai state svolte.
Inutile, infine, ricordare come l’Hasbara, la propaganda aggressiva messa in campo da Tel Aviv, abbia enfatizzato al massimo la portata degli eventi, aggiungendo a quanto accaduto orrori indicibili mai avvenuti o dilatando su ampia scala crimini isolati. Eclatante la menzogna dei 40 bambini decapitati o del bambino infilato in un forno (Haaretz). Si voleva creare una narrazione tale da associare il 7 ottobre all’Olocausto, associazione, peraltro, rigettata dallo stesso presidente dello Yad Vashem.
Nonostante ciò, quanto avvenuto quel 7 ottobre è rimasto come evento icastico, come se quel giorno fatidico non avesse un prima e un dopo. Ne scrive El-Ad: “Ci sono israeliani che, per giustificare le loro opinioni, parlano come se la storia fosse iniziata con le atrocità del 7 ottobre. Ci sono palestinesi che, per giustificare le loro opinioni, parlano come se le atrocità del 7 ottobre non fossero mai accadute”.
Al di là dei misteri succitati, e di tanti altri che abbiamo omesso per brevità, resta che l’attacco di Hamas ha avuto l’esito di porre fine allo scontro esistenziale tra le due anime di Israele, riunendolo contro il nemico comune e ha rafforzato come non mai la posizione di Netanyahu. Unità messa successivamente in discussione dallo scontro interno sulla sorte degli ostaggi, che l’apertura del nuovo fronte libanese e la rinnovata “minaccia iraniana” ha chiuso in via provvisoriamente definitiva.
L’evacuazione del Nord di Gaza
Resta, però, che il sangue innocente versato in quel 7 ottobre non può non destare orrore. Come resta che tale orrore non è paragonabile a quello causato dal successivo e ingiustificabile massacro del popolo palestinese, riguardo il quale rimandiamo a un recente documentario-denuncia di al Jazeera.
A ridosso della data simbolica del 7 ottobre, uno sviluppo drastico: ieri è arrivato l’ordine di evacuare metà del territorio del Nord di Gaza, con i sopravvissuti costretti a rifugiarsi nuovamente a Sud. L’area così spopolata è stata dichiarata “chiusa“, cioè non vi entrerà niente e nessuno, se non i militari israeliani. Ai miliziani rimasti intrappolati, secondo il piano, non resterà che arrendersi o morire di fame.
Dave DeCamp scrive che potrebbe essere l’inizio dell’attuazione del cosiddetto “piano dei generali“, che prevede lo svuotamento per “pulizia etnica” di tutto il Nord, come sembra confermare il Jerusalem Post. Non viene specificato, ma è più che probabile che la zona non sarà mai più restituita ai palestinesi, ai quali non resterà che il Sud della Striscia, una ridotta simile a un campo di concentramento.
Tale piano è attuato in maniera strisciante, dal momento che il mondo è distratto dall’imminente attacco israeliano sull’Iran, che potrebbe innescare la guerra su larga scala con Teheran tanto agognata e cercata da Netanyahu.
Tel Aviv ha evitato di attaccare prima, dal momento che avrebbe oscurato le commemorazioni del 7 ottobre in Israele e altrove. Conclusa la commemorazione, è determinato ad agire. Nulla si sa della portata e degli obiettivi. Momento di sospensione, in bilico sull’abisso.