I tanti volti della guerra azero-armena
Tempo di lettura: 4 minutiGuerra aperta tra Azerbaigjian e Armenia, che da anni sono l’un contro l’altro armati. Ciò a causa del Nagorno-Karabakh, regione che si è distaccata dall’Azerbaijan quando questo si rese indipendente dall’Urss, suscitando le ire di Baku.
Ne seguì una guerra, con l’Armenia schierata con il Nagorno-Karabakh, finita con l’armistizio del ’94 mai diventato pace. Da allora, però, nonostante sporadici scontri, mai si era mai arrivati a una guerra aperta come l’attuale, che vede l’impiego di armamenti pesanti.
Ambedue i Paesi si rinfacciano ragioni e torti, ma è difficile non collegare quanto sta avvenendo col sogno neo-ottomano al quale ha legato il suo destino il presidente turco Recep Erdogan. Sogno che sta creando caos un po’ dappertutto.
La guerra e il sogno neo-ottomano di Erdogan
Tale sogno ha infatti alimentato le primavere arabe, intrecciando le proprie vie con quelle del wahabismo saudita, usato da Washington per i suoi fini, finendo per coinvolgere pesantemente la Turchia nella guerra siriana.
Sogno che ha guadagnato ad Ankara territori strappati alla Siria, come anche la vittoria in Egitto e Tunisia dei Fratelli musulmani, ai quali Erdogan ha legato il suo destino.
Vittorie di breve durata, dato che erano in contrasto con le prospettive di Washington, che per questo ha guardato con malcelato favore il golpe del 2016 che per poco non ha detronizzato Erdogan.
Da qui un distacco dagli Usa e un nuovo rapporto con Mosca e Teheran, intessuto di notevole ambiguità.
Ambiguità che Erdogan ha usato per destreggiarsi tra i due blocchi, usando ogni spiraglio offerto dall’instabilità regionale per riproporre il suo sogno neo-ottomano.
Da qui l’ingresso a sorpresa nella guerra civile libica e il più recente contrasto con la Grecia per il petrolio che si trova nei fondali al largo del mare di Cipro. Un braccio di ferro tutto muscolare che ha visto la Ue, e in particolare la Francia, abbracciare le ragioni di Atene contro il sultano.
Tale sogno ora sembra aver riacceso le mai sopite aspirazioni dell’Azerbaijan, legato a doppio filo con Ankara, sul Nagorno-Karabakh, da cui la guerra.
Le crisi ai confini della Russia
Una guerra che, nonostante gli appelli al cessate il fuoco, non può che risultare gradita ai falchi di Washington, dato che pone criticità sull’asse Turchia-Russia.
Ankara ha gettato tutto il suo peso politico e militare a fianco di Baku, mentre Mosca non può restare indifferente alle sorti di Erevan, alla quale è legata anche dalla Csto – un’alleanza per la Difesa collettiva che lega Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan e Tajikistan alla Russia.
Così alla crisi della Bielorussia, in preda agli spasmi di una rivoluzione colorata che Mosca sta tentando di sedare, per Putin si aggiunge una nuova gatta da pelare, sempre ai suoi confini.
Ma se Mosca non può evitare di difendere l’Armenia, non può neanche entrare in aperto conflitto con Ankara, perché consegnerebbe quest’ultima ai suoi nemici.
Probabile che ciò spieghi perché l’Armenia non sia ricorsa alla Csto (Ria Novosti), mossa che probabilmente porterebbe la Turchia a ricorrere all’assistenza della Nato, di cui è membro, con rischi di escalation.
Francia e Iran, convitati di pietra
Così Mosca cerca di mediare, forse l’unico Paese veramente interessato a far cessare le ostilità, data la vacuità dei vari appelli alla pace. Ma nulla può da sola, così deve sperare in una convergenza con la diplomazia dispiegata dall’Unione europea, da cui pure è divisa dal dossier bielorusso e dal caso Navalny.
Per parte sua la Francia, per bocca di Emmanuel Macron, ha dichiarato la sua vicinanza all’Armenia (Armeniapress), riproponendo in altra forma quella prossimità storica e “interessata” manifestata al Libano dopo l’esplosione avvenuta al porto di Beirut.
Una presa di posizione che ha una ragione di fondo, già messa in evidenza dall’aperto contrasto tra Parigi e Ankara in Libia e a Cipro: c’è in gioco il controllo del Mediterraneo, che il nuovo impero ottomano vuol sottrarre all’Europa, con grande irritazione di Parigi, che vede minati i suoi interessi nel Mare Nostrum.
La guerra azero-armena ha un altro convitato di pietra, l’Iran, che vede con timore l’incendio divampare alle sue frontiere (cosa anch’essa gradita ai falchi Usa).
Come Mosca, Teheran ha con Erevan legami profondi, ma non può entrare in aperto conflitto con Ankara, dato che anch’essa ha trovato con i turchi inattese prossimità dopo il fallito golpe. Da qui le iniziative diplomatiche di Teheran per sedare gli animi (Tansim agency).
Il fantasma del genocidio armeno
Conflitto dalle mille sfaccettature, dunque, che ormai non è più tra Azerbaijan e Armenia, ma tra quest’ultima e la Turchia, dato che, anche se non fosse vero, è comunque significativo che il ministro della Difesa armeno abbia dichiarato che il controllo operativo delle operazioni militari azere è stato preso da Ankara (Armeniapress).
“Per ogni armeno che vive nel mondo – ha dichiarato il presidente armeno Armen Sarkissian – si tratta di una sorta di ritorno di un fantasma del passato. Perché dico fantasma, perché è il fantasma dell’Impero Ottomano, che 105 anni fa ha ideato il genocidio armeno. Non possiamo permettere in nessun modo che quel genocidio si ripeta” (Armeniapress). Un fantasma che rende il conflitto “esistenziale”, rendendone più ardua la ricomposizione.