15 Novembre 2012

Il bombardamento di Gaza, le elezioni israeliane e la radicalizzazione dei conflitti in Medio Oriente

Il bombardamento di Gaza, le elezioni israeliane e la radicalizzazione dei conflitti in Medio Oriente
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«Netanyahu ha cominciato alla sua maniera la campagna elettorale per le legislative, facendo assassinare il capo militare del partito-milizia di Hamas, a Gaza, con una serie di bombardamenti che hanno ucciso almeno 7 innocenti civili palestinesi oltre ad Ahmad Jaabari e a suo figlio (altrettanto innocente)».  Così Vittorio Emanuele Parsi sulla Stampa del 15 novembre. Secondo Parsi l’attacco, avvenuto in risposta ai lanci di razzi contro Isarele (nessuna vittima), è «anche un messaggio al presidente degli Stati Uniti sinistramente analogo a quello inviato esattamente quattro anni fa con l’operazione “piombo fuso”, ovvero l’attacco violentissimo contro la Striscia di Gaza, che causò oltre 1200 morti tra i palestinesi».

L’opzione militare israeliana, secondo il cronista, non «trova nessuna giustificazione legale» ed è «”rivelatrice”delle vere intenzioni che hanno mosso Netanyahu: ottenere un successo propagandistico ad uso interno e contemporaneamente contribuire a radicalizzare il quadro regionale».

Conclude Parsi: «Evidentemente, una rappresaglia così violenta in questo momento, rende il quadro regionale ancora più teso, come se non bastasse la guerra civile siriana con il rischio che essa contagi il Libano e intacchi il già precario equilibrio giordano. Ed è appena il caso di accennare al fatto che l’omicidio di 9 persone a Gaza non potrà che costringere lo stesso Morsi ad assumere una posizione molto dura nei confronti del governo di Tel Aviv. Si tratta cioè di un vero e proprio regalo fatto alla componente più radicale dei Fratelli Musulmani (di cui Hamas è una lontana filiazione) e dei salafiti. Tutto questo proprio nel momento in cui il presidente Obama sembrava intenzionato a proseguire nella coraggiosa e cauta apertura di credito verso il regime egiziano, proprio allo scopo di concorrere alla stabilizzazione dell’intera regione. La cosa più triste, pensando alla tradizione democratica di Israele e alla straordinaria levatura morale di tanti dei suoi intellettuali, è dover prevedere che questo attacco sarà probabilmente interpretato dalle opinioni pubbliche arabe come una risposta indiretta alle “primavere” di questi due anni. Il fatto, sottolineato da tutti i commentatori, che esse avessero sostanzialmente disertato i più consueti “luoghi” dell’odio anti-israeliano, rischia di diventare solo un ricordo. E l’onda lunga della rabbia rivoluzionaria domestica potrebbe saldarsi con quella antica dell’esasperazione per l’umiliante e sistematica violazione dei diritti del popolo palestinese. Il rischio è che ne nasca un vero tsunami regionale, capace di far ritrovare gli Stati Uniti invischiati in un conflitto che non vogliono e che il presidente Obama si era ripromesso di contribuire a disinnescare nel corso del suo secondo mandato».