7 Maggio 2020

Il coronavirus: attacco agli Stati Uniti

Il coronavirus: attacco agli Stati Uniti
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Navi americane in fiamme a Pearl Harbor

“Abbiamo registrato il peggior attacco di sempre contro il nostro Paese. Questo è davvero il più grave attacco mai subito. È peggio di Pearl Harbor, peggio del World Trade Center. Non c’è mai stato un attacco come questo”. Così Donald Trump in un incontro riservato alla Casa Bianca (Washington Examiner).

Frase davvero inconsueta, anche per un presidente immaginifico come Trump e anche considerando che certa retorica americana tende a militarizzare il discorso politico.

Non si tratta solo di paragoni importanti, ma anche specifici, di guerra. Peraltro quel legame tra Pearl Harbor e l’11 settembre rievoca in modo suggestivo le tesi di quanti hanno visto nell’attacco alle Torri gemelle la materializzazione del “Progetto per un nuovo secolo americano”, nel punto in cui auspica una nuova strategia, più assertiva a livello globale, della Difesa americana.

Questo il passaggio: «Il processo di trasformazione [della Sicurezza Usa, ndr.], che porterà un cambiamento rivoluzionario, risulterà molto lungo, se non si dovesse verificare un evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor».

Previsioni o prospettive?

Parole che hanno suscitato controversia, se cioè fosse una previsione aleatoria o una prospettiva operativa (tesi detta cospirazionista). Al di là di come si voglia interpretarla, la profezia dei neoconservatori (che avevano redatto quel documento) si è avverata, e tale ambito ha preso il potere negli Stati Uniti nel post-11 settembre, precipitando il mondo nella “Guerra infinita”.

A rafforzare la suggestione Pearl Harbor-11 settembre, il fatto che Trump abbia dichiarato che l’impegno della Task Force della Casa Bianca di contrasto al Coronavirus  “continuerà all’infinito” (sempre WE), cenno che rievoca ancora una volta, per suggestione, la “Guerra infinita” di cui sopra.

Sulla “Guerra infinita”, un interessante articolo di Ben Rhodes su The Atlantic. Uomo di apparato, avendo anche fatto parte della Commissione d’inchiesta sull’11 settembre,  egli scrive che la risposta americana a quell’attacco fu un “errore catastrofico”.

L’articolo inizia così: Nelle viscere della CIA, c’è un cartello che recita che ogni giorno è il 12 settembre” e tutto l’articolo è un invito a uscire da questo circolo vizioso, cioè a “superare la nostra mentalità post-11 settembre”.

L’era post 9/11

Un circolo vizioso che la pandemia, e secondo Rodhes l’amministrazione Trump, sta riproponendo con forza, tanto che l’articolo ha questo sottotitolo: “La pandemia coronavirus è un capitolo di una storia che avrebbe dovuto finire molto tempo fa”.

Un articolo ripreso da una nota del Centro J. Wells Dixon, pubblicata sempre su The Atlantic, che dà ragione a Rhodes, pur polemizzando su questioni secondarie. Meno secondario il titolo: “No, l’era post-9/11 non è finita”.

Se abbiamo dato spazio a questa digressione è per dare corpo alla suggestione prodotta dalle parole di Trump. Eletto con un programma volto a porre fine alla “Guerra infinita” e chiudere l’era delle oscure trame del Deep State – come ha dichiarato più volte -, Trump sa perfettamente quel che le sue parole evocano.

Se le ha scelte è per indicare che sta perseguendo una prospettiva. Conscio che non può chiudere l’era post-11 settembre come si era ripromesso, dato che la pandemia ha rilanciato gli ambiti che hanno preso il potere in quel momento e data anche la sua attuale debolezza (la rielezione è a rischio), si è apparentemente piegato a loro (come peraltro altre volte durante la sua presidenza).

Caos, paura e sicurezza

Troppo forti in questo momento i neocon e il Deep State, dato che l’emergenza coronavirus ha riprodotto il caos, la paura e la richiesta di sicurezza globale propria del post-11 settembre, un brodo di coltura ideale per le loro manovre.

Da qui la decisione di Trump, che però, al contrario di Bush che si è arreso totalmente, spera di poter cavalcare l’onda, in questo seguendo le direttrici indicate già a suo tempo dai suoi vecchi strateghi (es. Steve Bannon).

Spera, cioè, di poter incanalare l’assertività Usa richiesta dalla follia “rivoluzionaria” neocon su un unico obiettivo, la Cina, nella speranza di riuscire a ridurre le tensioni in alcune aree, come in Corea del Nord e Afghanistan e, in parte, in Medio Oriente (dove, nonostante tutta l’assertività dispiegata, con picchi tragici, dalla sua amministrazione, non ha coinvolto gli Usa in una guerra diretta: erano venti anni che non succedeva).

Da qui il conflitto con la Cina (peraltro la prima a subire l’11 settembre prodotto dal coronavirus), che Trump spera di poter circoscrivere a livello commerciale, dati i rischi connessi a uno scontro militare.

Decisione ad alto rischio: la disfida con la Cina, che peraltro rientra nel campo degli obiettivi neocon, può precipitare e il cedimento al Deep State può risultare ingestibile, tanto da trascinare la presidenza Trump in avventure indesiderate anche altrove.

Forse Trump poteva intraprendere un’altra strada, forse no. Certo è che stiamo attraversando un momento difficile per il mondo, tanto che la crisi del coronavirus, in confronto alle prospettive funeste che tale scelta può aprire, sembrerà una passeggiata di salute.

Restano comunque margini di manovra. Quel che è certo è che il cartello “Ogni giorno è il 12 settembre” non è stato ancora rimosso dalle viscere della Cia. E forse ci rimarrà ancora a lungo.