Il tragico crepuscolo del magico Impero americano
Tempo di lettura: 4 minuti“L’America non è un paese realista”. Questa la citazione del pensatore americano John J. Mearsheimer in un saggio di Malcom Kyeyune dedicato alla dialettica che si sta consumando all’interno dell’establishment cultural-politico americano tra realisti e idealisti.
Kyeyune cita Mearsheimer proprio per indicare come negli Stati Uniti non ci sia più posto, semmai c’è stato, per il realismo e che l’Impero ormai è appannaggio dell’opposta fazione. Infatti, commentando l’affermazione di Mearsheimer, Kyeyune spiega che essa non è solo “descrittiva” ma ha un significato “metafisico: l’America è un paese che non può andare avanti, legittimarsi, comprendersi o avere un autentico senso di coesione nazionale attraverso il realismo”.
La rivoluzione francese e l’interventismo americano
Articolato e lungo lo scritto di Kyeyune, che ha alcune considerazioni davvero interessanti. Anzitutto il parallelo tra la Rivoluzione francese e l’interventismo Usa post ’89.
Infatti, come la Rivoluzione rimodellò la Francia, fondando il paese non più su basi realistiche, ma ideologiche, “circa 200 anni dopo, la svolta dell’America verso il fervore rivoluzionario iniziò nel momento in cui fu liberata dalla disciplina che le imponeva l’esistenza di una vera superpotenza rivale, l’Unione Sovietica”.
Dopo la vittoria della Guerra Fredda, “gli Stati Uniti erano qualcosa di simile alla Francia uscita dalla grande rivoluzione e dal sanguinoso abbattimento della monarchia borbonica: una potenza aggressiva, ideologicamente carica, alla quale non potevano più essere applicate le vecchie regole del dare e avere e dell’equilibrio strategico. In un mondo giusto, le vecchie regole e leggi scritte da principi e sacerdoti non potevano più vincolare gli uomini liberi, proclamavano coraggiosamente i rivoluzionari francesi”.
“[…] La Francia, svincolata dai costumi obsoleti dell’ancien régime, non riconosceva limiti nel perseguimento della sua missione: avrebbe ‘salvato’ il resto del mondo, a cominciare dai suoi più prossimi e odiati rivali e, se necessario, l’avrebbe fatto in punta di baionetta”.
“L’America ha pensato e agito più o meno allo stesso modo negli anni successivi alla sua ascesa all’egemonia unipolare. Nel suo secondo insediamento, l’ex presidente George W. Bush dichiarò: ‘Oggi l’America parla di nuovo ai popoli del mondo… Gli Stati Uniti non ignoreranno la vostra oppressione, né giustificheranno i vostri oppressori. Quando difenderai la tua libertà, noi saremo con te'”.
“Una bomba a grappolo alla volta, una nuvola di fosforo bianco tossico dopo l’altra, i serbi, gli iracheni, gli afghani, alla fine anche gli iraniani e i nordcoreani sarebbero stati tutti salvati, integrati nell’ordine globale del libero scambio e dei diritti universali“.
I disastri della rivoluzione e la magia dell’impero
“Il punto d’arrivo di tutti questi sogni era prevedibile fin dall’inizio. Con il passare degli anni, sempre più politici ed esperti della lunga Guerra Fredda iniziarono a percepire il disastroso percorso che l’America aveva intrapreso”.
Tanti allarmarono sui disastri incombenti, ma, “nella migliore delle ipotesi, furono educatamente ignorati. Sia per la rivoluzionaria Parigi che per la rivoluzionaria Washington, la missione di liberare ed elevare il resto del mondo sarebbe infine culminata in milioni di morti, guerre civili, caos, carestia e nella devastazione di interi paesi, compresa, infine, la loro patria rivoluzionaria“.
Tale rivoluzione americana, spiega ancora Kyeyune, ha due motrici convergenti, i neoconservatori (forti nel partito repubblicano) e l’internazionalismo liberale (i cui esponenti allignano nel partito democratico). Questo spiega l’omogeneità dei due partiti sui temi chiave della politica estera.
Un altro passaggio significativo del testo di Kyeyune è l’accenno alla magia: “Il realismo può aiutarci a comprendere gli interessi degli stati, ma gli stati non si fondano sul realismo. Il realismo non è ciò che permette loro di nascere, di consolidarsi e di espandersi. Gli stati, in realtà, si fondano su ciò che possiamo chiamare ‘magia’, una magia che può differire notevolmente da stato a stato e da periodo di tempo a periodo di tempo”.
Tale magia, continua Kyeyune, ha conferito prosperità a Stati e imperi, dalla Francia borbonica all’impero cinese, come il suo svaporare ne ha segnato la caduta, come avvenuto per l’Unione sovietica, crollata quando si spense la magia del comunismo.
Il realismo, scrive Kyeyune, sebbene abbia solide ragioni, non può sostituire tale magia, anzi. Infatti, secondo l’autore, la corrente cultural-politica americana che vorrebbe far tornare l’Impero alle ragioni del realismo (ponendo fine alla guerre infinite), non solo non sortirebbe l’esito sperato di salvare l’Impero, ma addirittura, spegnendo la fiamma tremolante della magia americana, lo condannerebbe a una morte immediata.
Il crepuscolo dell’Impero
Prosegue Kyeyune: “È probabile che gli storici finiranno per trarre lezioni radicalmente diverse da quelle esposte oggi dai realisti sul significato della discesa autodistruttiva dell’America nella guerra ideologica per sempre [la guerra infinita ndr]”.
“Agli storici, i neoconservatori e gli interventisti liberali potrebbero infatti apparire come l’ultima generazione dell’élite americana con una comprensione in qualche modo più realistica del pasticcio nel quale si sono ritrovati”.
“A loro, l’era dell’interventismo liberale apparirà probabilmente come l’ultimo vero tentativo di mantenere viva la vacillante magia americana. Quelli di noi che sono diventati maggiorenni all’epoca degli attacchi dell’11 settembre possono attestare che, almeno per un certo periodo, ci sono riusciti. Hanno fatto rivivere la magia che teneva unita la società […]. Ma niente dura per sempre”.
Questa conclusione porta Kyeyune a terminare così il suo intervento: “Qui, nelle ultime ore del crepuscolo, sia dell’impero americano che della particolare forma di magia popolare che così eroicamente lo ha costruito e gli ha consentito di crescere, non si può non rimanere abbagliati dalla tragedia dei più brillanti pensatori realisti d’America. Perché il loro destino è brillare in maniera sempre più viva quanto più si stagliano sullo sfondo di un crepuscolo sempre più buio”.
Così l’America, per Kyeyune, è ormai consegnata alla tenebrosa magia degli apprendisti stregoni neoconservatori e liberal, che la condanna a proseguire sulla via rivoluzionaria intrapresa, pur nella consapevolezza che essa è foriera di disastri e non risolleverà le sorti dell’Impero morente.
Resta che in tale agonia, che durerà tempo, l’Impero americano rischia di precipitare nell’abisso il mondo intero. Ed è questa più grande tragedia, che Kyeyune – il quale partecipa di tale stralunata magia imperiale – non contempla con la necessaria urgenza.