Il crollo del prezzo del petrolio inguiaia anche gli Usa
Tempo di lettura: 2 minuti«Il primo fallimento è avvenuto alla fine del 2014. Ma non è giunto inaspettato: i più avveduti lo aspettavano e lo temevano,
dopo il crollo del prezzo del petrolio, precipitato in pochi mesi
da oltre 110 dollari al barile a meno di 50 dollari. Il fallimento di una piccola società texana più che un campanello d’allarme è stato il segnale del liberi tutti. E che la bolla dello shale oil e dello shale gas, cresciuta a dismisura nel corso dell’ultimo decennio, era matura per scoppiare.
Dopo essere stato il fenomeno che ha contribuito a sostenere la ripresa economica degli Stati Uniti, garantendo indipendenza dalle importazioni e energia elettrica in quantità a basso prezzo, il gas e il petrolio estratto dalla roccia stanno provocando non pochi problemi al sistema finanziario. Fallimenti, licenziamenti, bancarotte e una montagna di crediti inesigibili sono all’ordine del giorno». Inizia così un articolo di Luca Pagni pubblicato sulla Repubblica del 31 gennaio.
Nota a margine. Quelle segnalate da Pagni nel suo articolo sembra siano solo le prime avvisaglie di una crisi che va ad allargarsi, specie se per tentare di coprire la vicenda gli Usa saranno costretti a ricorrere a una nuova immissione di liquidità.
Negli Usa e in Europa sono molti gli esponenti politici che si rallegrano dell’abbassamento del prezzo del petrolio, causa di non poche sofferenze finanziarie per la Russia (nella speranza di un crollo di Putin). Un’allegria strabica, come si nota da questo articolo, che ignora le conseguenze che tale circostanza potrebbe comportare anche in Occidente sul breve o medio periodo.
Tra l’altro c’è da segnalare un’altra conseguenza geopolitica: l’indipendenza petrolifera Usa tramite shale gas e shale oil era stata salutata come una rescissione di quel cordone ombelicale che ha legato a filo doppio gli Usa al Medio Oriente finora. Ad oggi non è così.