Il fuoco di Rafah, la guerra messianica
La Casa Bianca ritiene che l’attacco alla tendopoli di Tel al-Sutan, asserita “zona sicura” per i profughi di Rafah, “non ha violato gli avvertimenti del presidente Biden sulla condotta della campagna militare a Rafah”, con ciò suggerendo che non ci sarà “alcuna conseguenza” per l’accaduto. Lo riporta il Washington Post, lo riportiamo, con l’indignazione del caso, anche noi (bombe made in Usa).
Evidentemente sono state cancellate le linee rosse, semmai ce ne siano state, enunciate da Biden all’inizio della campagna. Sembra che l’impero abbia dato luce verde allo sterminio dei palestinesi.
Non usiamo a caso la parola sterminio. L’ha annunciato chiaramente Benjamin Netanyahu quando è iniziata la campagna, con il parallelismo tra i palestinesi e gli amaleciti: i palestinesi come Amalek, il popolo che Dio ordina a Saul di sterminare fino all’ultimo uomo, bambini e bestiame compresi (forse il passaggio più duro della Bibbia).
La rinnovata maledizione sui palestinesi
Una maledizione rievocata da Netanyahu, come annota Jonathan Ofir su Mondoweiss, nella sua furiosa reazione alla richiesta di un mandato di cattura contro di lui da parte della procura del Tribunale penale internazionale.
Infatti, dopo aver ricoperto di insulti i magistrati, con accuse culminate nell’usuale denuncia di antisemitismo, conclude: “Di fronte alle bugie dell’Aia, dico: Netzah Israel [l’Eterno Israele] non mente!”.
Citazione, quest’ultima, della conclusione del dialogo tra Saul e il profeta Samuele, quando, dopo la battaglia contro la città di Amalek, il profeta Samuele rimprovera a Saul di aver risparmiato il re Agag, contravvenendo all’ordine di sterminio del Signore. E gli annuncia che, avendo disobbedito, non è più re. E conclude, appunto con: “L’Eterno Israele non mente, né può ricredersi….”
D’altronde, questa mattanza vive di simbolismi messianici e c’è chi ha ravvisato tale simbolismo anche nell’incendio del campo profughi di Tel al-Sutan, dal momento che le fiamme che hanno divorato donne e bambini è stato appiccato dalle bombe israeliane il 26 maggio, giorno in cui gli ebrei celebrano la festa di Lag Ba’omer accendendo falò.
Tale coincidenza – e coincidenza doppia perché è la prima volta che la macelleria di Gaza fa notizia per un incendio, normalmente è per le bombe – è stata celebrata anche da taluni giornalisti israeliani, che hanno inneggiato al fuoco di Tel al-Sutan come partecipe della festività. Per fortuna, tale orrida celebrazione è stata stigmatizzata da altri israeliani, come riferisce Rachel Fink su Haaretz.
Haaretz: a Rafah non è stato un tragico incidente
Al di là del simbolismo messianico, l’idea che l’ennesimo eccidio sia stato un “tragico incidente”, come l’ha definito Netanyahu, è sdegnosamente rigettata da Haaretz, che titola il suo editoriale così: “Nell’Israele di Netanyahu, l’orrore di Rafah non è stato né ‘un incidente’ né eccezionale”. Una giustificazione, quella di Netanyahu, che Haaretz giudica “vergognosa” e priva di un pur “minimo rammarico” per le vittime civili.
E chiosa: quanto avvenuto a Rafah e l’uccisione di un soldato egiziano alla frontiera “non possono essere considerati incidenti eccezionali che necessitano solo di un’indagine e di trarne lezioni per il futuro. Sono una componente inseparabile, prevista e pericolosa dell’intervento a Rafah”, che peraltro sta alienando il mondo da Israele.
E, nonostante il fatto che Netanyahu prosegua imperterrito, fingendo che “di non essere impressionato dalla pressione internazionale” e ingannando in questo anche gli israeliani, tutto ciò non può proseguire. La campagna di Rafah “si basa sulla menzogna” che Hamas, sotto pressione, libererà gli ostaggi, mentre Hamas sta dimostrando resilienza e di tenere la barra dritta sulla sua richiesta di una tregua duratura in cambio degli ostaggi.
“Il rilascio degli ostaggi – conclude l’editoriale – è l’unico obiettivo realistico rimasto al governo israeliano e non può essere condizionato alla conquista di Rafah, alla ‘sconfitta di Hamas” o ‘all’eliminazione della minaccia per le comunità israeliane di confine di Gaza’”.
La profezia dell’ex capo del Mossad
La prospettiva di Haaretz è condivisa anche dall’ex capo del Mossad Danny Yatom, secondo il quale “Israele non riuscirà a raggiungere i suoi obiettivi nella guerra di Gaza” perché “la Striscia rimarrà così com’è”.
E se anche l’esercito israeliano “rimanesse ancora diversi mesi nella Striscia, agendo in superficie e nel sottosuolo, non riuscirebbe a uccidere tutti i combattenti di Hamas, nemmeno la maggior parte di essi”. Israele, ha aggiunto, ‘non riuscirà nemmeno a distruggere tutte le infrastrutture [di Hamas] nella Striscia di Gaza, nemmeno la maggioranza di esse” (peraltro ne sta costruendo di nuove, dal momento che Hamas ormai si nasconde anche tra gli innumerevoli e inestricabili cumuli di macerie).
Non si tratta di magnificare Hamas, né è questo il senso delle parole di Yatom, ma solo di dare un quadro realistico della situazione, nella speranza che prima o poi qualcuno riconduca alla ragione la leadership israeliana.
Netanyahu punta alle elezioni Usa
Non si riuscirà in questo con Netanyahu che, ormai è chiaro, punta dritto alle elezioni presidenziali Usa. Questo il significato neanche troppo implicito delle parole del consigliere per la sicurezza nazionale Tzachi Hanegbi, il quale ha detto che la “guerra durerà altri sette mesi” (a gennaio c’è l’insediamento del prossimo presidente Usa…).
Netanyahu punta su un cambio di cavallo nel partito democratico o un asservimento totale di Biden – come sembra registrarsi negli ultimi giorni – ma, allo stesso tempo, indugia su un eventuale sostegno a Trump.
In quest’ultimo senso va letto sia l’invito recapitatogli dai falchi repubblicani per parlare al Congresso, sia l’endorsement della sanguinaria Nikki Haley verso il Tycoon, prima odiato (subito dopo l’endorsement, la Halley è volata in Israele per farsi immortalare mentre scriveva su una bomba “finiteli”: Amalek, appunto).
Il premier israeliano spera di ripetere quanto avvenuto nel corso del primo mandato di Trump, quando riuscì a piegare il presidente Usa ai suoi desiderata grazie alle pressioni dei neocon repubblicani (ma non riuscì a fargli attaccare la Siria e l’Iran).
Intanto la guerra continua e fa strame di civili non solo con le bombe e i carri armati, ma anche attraverso la fame, la sete, la distruzione di ospedali (colpiti anche due ospedali di Rafah) e quanto necessario alla sopravvivenza. Ci torneremo prossimamente, purtroppo.